20/03/01

Come i "garzoni" di una volta

Con una strana scala, il Centro europeo di monitoraggio sul razzismo e la xenofobia (EUMC) colloca l’Italia tra i paesi con un alto tasso di tolleranza passiva. Una posizione migliore dell’intolleranza e l’ambivalenza, ma certamente inferiore alla posizione della tolleranza attiva, che significa attenzione e integrazione.
In parole povere la nostra Italia direbbe: vengano gli stranieri, lavorino e non disturbino. Se hanno problemi, se li risolvano. Se sono delinquenti, siano cacciati.
Al di là delle parole, il centro di monitoraggio sembra abbia centrato l’atteggiamento che, nei vari luoghi, si sperimenta a proposito di stranieri. Da una parte industriali, commercianti, famiglie che hanno “bocca buona” nell’assumere stranieri soprattutto nei luoghi di lavoro pericolosi e faticosi e dall’altra il “no problem” per tutti gli altri aspetti della vita dei lavoratori: se hanno o non hanno famiglia, se hanno casa, come si arrangiano nei trasporti, se conoscono la lingua, dove i figli vanno a scuola e così via.
Quando negli anni ’60 ci fu la grande industrializzazione nel nord ovest d’Italia, ci fu, se non subito, una qualche preoccupazione per la casa destinata a calabresi, pugliesi e siciliani; furono istituite delle scuole; un qualcosa si attivò.
Di fronte a una immigrazione più massiccia e più difficile, un grande silenzio: nemmeno imbarazzato e senza alcun’ombra di sensi di colpa. Probabilmente è la globalizzazione furba, intesa a proprio vantaggio, che dà tranquillità. Una donna moldava costa qualche cosa più di un milione; ha diritto a mezza giornata di riposo, a vitto e alloggio e deve accudire tutta la settimana la nonna o il nonno malati. Se questa donna ha figli, problemi, sta fuori casa mesi e mesi, non è di competenza dei privati e sembra nemmeno dello Stato.
Ritorniamo a una forma un po’ più raffinata, ma sostanzialmente uguale, a quella “schiavitù” legalizzata che esisteva nelle nostre campagne, quando si assumeva a proprio servizio un ragazzo povero, un “garzone”, gli si dava da mangiare e lui cresceva con vacche e maiali, perché in questo consisteva il patto.
Democrazia, accoglienza, parità di diritti, rispetto sono tenuti lontani da una concezione della vita che, ieri come oggi, distingue tra ricchi e poveri. Con i primi a dettare le leggi e farle rispettare e con i secondi che, di fronte alla fame, possono solo obbedire.

09/03/01

La paura delle grandi sfide

Difficile fare un bilancio complessivo, al termine della legislatura, riguardante i temi del sociale.
Luci ed ombre di un paese che si dice civile, ma che non ha ancora scelto la strada del rispetto e della tutela di tutti.
Tra le luci, certamente la celebre legge sulla "riforma dell'assistenza": dopo un secolo si è messo mano su un complesso mondo, caratterizzato, fino a ieri, da interventi parcellizzati e incompleti, come luci sono state le disposizioni sulle adozioni, sul servizio civile, sull'associazionismo, sull'immigrazione, sull'infanzia, sulla sussidiarietà.
I temi più "duri" sono rimasti nel cassetto: la situazione delle carceri italiane, senza progressi e senza amnistie; la cooperazione internazionale, ancora una volta rimandata, la pedofilia, la tratta degli esseri umani.
Temi delicati e complessi che dicono esplicitamente che la nostra cultura (e il nostro parlamento) non si sono ancora adeguati alla realtà - molto spesso drammatica - che la globalizzazione ha rapidamente attivato.
L'impressione generale è che il livello di coscienza si fermi sulle grandi sfide: è come se l'Italia volesse rimanere quel tranquillo paese di provincia che ha sì qualche problema, ma che non è coinvolto con i processi devianti del mondo (si pensi alle mafie).
Tutto ciò in contraddizione con il passo reale della vita: i nostri piccoli e medi industriali attraversano il mondo, esportano e importano merci e manodopera, senza paura di lingue e frontiere. Di fronte agli effetti perversi dell'apertura delle frontiere, tutti ritornano abitanti del villaggio.
All'orizzonte si delinea così una specie di immaturità collettiva che impedisce di affrontare i "limiti" del mondo, accontentandosi della positività dell'azione dei pionieri del commercio e della produzione. Alla lunga il ritardo si pagherà: ci auguriamo senza gli appelli drammatici, quanto inefficaci, alla sicurezza o all'identità.
Credere che ogni azione tesa all'espansione dell'economia possa o debba produrre solo ritorni di benessere, più che ingenuità dimostra una grossa dose di stupidità: civile e anche morale.

01/03/01

Militari, zona franca

[v. lancio 1 marzo 2001, ore 14.21 - “Morti militari in tempo di pace…”]
Come spesso accade, un lungo impegno, accompagnato dall'isolamento, fa emergere "verità scomode": l'ultima è l'inchiesta di due associazioni di parenti militari morti in servizio che fanno luce nel periodo 1976-1999.
Oltre diecimila morti, trecento ogni anno, pur essendo in tempo di pace.
Non è difficile immaginare la ritrosia dei comandi nello spiegare i 27 suicidi di ragazzi nel 1999. Le parate e i linguaggi mal si adeguano a "sconfitte", quali le morti. Il tutto coperto da un silenzio tombale, in onore della "patria". Quando è l'autorità a mimetizzare la verità, difficile scoprire come effettivamente si sono svolti i fatti. Non dimentichiamo le azioni non sempre limpide dei nostri comandi in situazioni delicate della storia recente del nostro paese.
Eppure quelle morti non trovano nemmeno il rimpianto e il ricordo. Il tutto liquidato con una cinquantina di milioni a titolo di risarcimento per ogni morte. Le forze armate applicano "il conteggio" delle assicurazioni sugli incidenti della strada. Se non dimostri il tuo reddito al momento della morte, non è possibile moltiplicarlo per tutti gli anni della vita media degli uomini in Italia.
Molti di quei ragazzi morti, probabilmente, erano alla loro "prima occupazione"; per questo la loro vita vale poco.
Probabilmente il tam tam della situazione è molto più esplicito di quanto si immagini, se occorrono spot pubblicitari per far arruolare gente volontaria nelle forze armate.
Quando verrà il momento di una "normalità" del mondo militare, che faccia applicare le stesse leggi vigenti nella vita civile?
Quando resisterà questa specie di "zona franca" in cui tutto si aggiusta e si sistema?
Ma non è colpa solo degli addetti al lavoro: la coscienza civile sembra aver abdicato ad ogni controllo a vantaggio degli specializzati, compresa la tolleranza. Importante è la propria tutela. Se qualche incidente avviene, pazienza. Pazienza non può avere chi ha avuto una persona giovane scomparsa. E giustamente.

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