Con una strana scala, il Centro europeo di monitoraggio sul razzismo e la xenofobia (EUMC) colloca l’Italia tra i paesi con un alto tasso di tolleranza passiva. Una posizione migliore dell’intolleranza e l’ambivalenza, ma certamente inferiore alla posizione della tolleranza attiva, che significa attenzione e integrazione.
In parole povere la nostra Italia direbbe: vengano gli stranieri, lavorino e non disturbino. Se hanno problemi, se li risolvano. Se sono delinquenti, siano cacciati.
Al di là delle parole, il centro di monitoraggio sembra abbia centrato l’atteggiamento che, nei vari luoghi, si sperimenta a proposito di stranieri. Da una parte industriali, commercianti, famiglie che hanno “bocca buona” nell’assumere stranieri soprattutto nei luoghi di lavoro pericolosi e faticosi e dall’altra il “no problem” per tutti gli altri aspetti della vita dei lavoratori: se hanno o non hanno famiglia, se hanno casa, come si arrangiano nei trasporti, se conoscono la lingua, dove i figli vanno a scuola e così via.
Quando negli anni ’60 ci fu la grande industrializzazione nel nord ovest d’Italia, ci fu, se non subito, una qualche preoccupazione per la casa destinata a calabresi, pugliesi e siciliani; furono istituite delle scuole; un qualcosa si attivò.
Di fronte a una immigrazione più massiccia e più difficile, un grande silenzio: nemmeno imbarazzato e senza alcun’ombra di sensi di colpa. Probabilmente è la globalizzazione furba, intesa a proprio vantaggio, che dà tranquillità. Una donna moldava costa qualche cosa più di un milione; ha diritto a mezza giornata di riposo, a vitto e alloggio e deve accudire tutta la settimana la nonna o il nonno malati. Se questa donna ha figli, problemi, sta fuori casa mesi e mesi, non è di competenza dei privati e sembra nemmeno dello Stato.
Ritorniamo a una forma un po’ più raffinata, ma sostanzialmente uguale, a quella “schiavitù” legalizzata che esisteva nelle nostre campagne, quando si assumeva a proprio servizio un ragazzo povero, un “garzone”, gli si dava da mangiare e lui cresceva con vacche e maiali, perché in questo consisteva il patto.
Democrazia, accoglienza, parità di diritti, rispetto sono tenuti lontani da una concezione della vita che, ieri come oggi, distingue tra ricchi e poveri. Con i primi a dettare le leggi e farle rispettare e con i secondi che, di fronte alla fame, possono solo obbedire.