12/09/01

“Shahid”

Nella tragedia dell'attentato d'America, è difficile accumulare alle migliaia di vittime innocenti, coloro che hanno procurato fisicamente l'ecatombe.
Li chiamano "shahid"; sembra che li addestrino fin da ragazzi a morire per la causa. Sono numerosi se in Palestina prima e ora in America, sono capaci di decretare la propria e l'altrui morte, in un sacrificio totale per la causa. Sono protetti e circondati dall'affetto dei loro cari.
In tutto l'occidente non si troverebbero cinquanta persone dedite alla morte per nessuna nobile causa e per nessun prezzo.
Eppure i dirottatori, con le loro crudeltà, non si sono tirati indietro di fronte alla loro stessa morte sicura.
Il fenomeno del terrorismo arabo non si riduce dunque solo alla dimensione politica di popoli che si sentono oppressi, ma ha radici talmente profonde da impressionare la mente e il sentire della cultura occidentale.
E' la prima riflessione da fare di fronte alla tragedia dell'America: è in atto uno scontro di culture, prima che di diritti. Per questo la lotta al terrorismo non può ridursi solo a percorsi di polizia internazionale. Occorre capire che cosa sta avvenendo: cosa ancor più difficile, non essendoci "pentiti o traditori" che rivelino logiche e percorsi.
Nella fase attuale non si riesce nemmeno a comprendere se gli atti terroristici sono solo "rivendicazioni", anche se violente e crudeli, di ingiustizie subite, vere o presunte, o se invece fanno parte di quella "guerra santa" contro l'odiato occidente.
In questa seconda ipotesi la sfida sarebbe veramente mortale: ne andrebbe la sopravvivenza dell'occidente o della cultura araba.
Soltanto gli stessi arabi, con i loro valori e la salvaguardia della loro cultura, possono guidarci nella comprensione.
Per questo è necessaria l'apertura dell'occidente per il loro rispetto, riflettendo sulle proprie responsabilità, ma i più saggi e prudenti arabi debbono farci comprendere che cosa effettivamente stia avvenendo.
Sembra un assurdo: ma proprio dopo l'attentato in America, con migliaia di morti, è necessario il dialogo. Se questo non avvenisse, la spirale della violenza avrebbe il sopravvento. Ma la violenza che deriva da motivazioni di fede è difficile da fermare, perché ha, dalla sua parte, la pretesa della verità. Crea martiri e con i martiri aumentano l'adesione e la forza alle proprie idee.

05/09/01

Il “movimento” è già frantumato

A oltre un mese dai fatti del G8 è tempo di verifica all'interno del movimento anti global.
L'attenzione è stata posta sulla violenza dei fatti di Genova. La questione non è solo questa. Stanno emergendo, con tutte le loro diversità, le anime che hanno permesso quell'evento.
In quel movimento hanno confluito tre anime, tre modi di fare "contestazione".
La prima è quella violenta delle tute nere. Con questa parte del movimento non è possibile il dialogo: hanno fatto della violenza il loro modo di "essere"; non sappiamo se è un modo di fare politica o semplicemente un modo di esprimersi. Alcuni tratti dicono che non si distinguono dagli ultras degli stadi o dai naziskin. Esprimono disagio, esplodendo in violenza sistematica, senza ricerca di dialogo e di mediazione.
La seconda anima è quella "politica": dalle tute bianche ai movimentisti.
L'oggetto della contestazione è il sistema politico dei governi occidentali. I soggetti e l'oggetto della contestazione sono loro stessi. Si pongono come interlocutori delle istituzioni che rifiutano, con i loro contenuti politici. Chiedono di diventare parte sociale e si contrappongono ai sistemi vigenti. Fanno politica, in quanto vogliono rappresentare una forza politica diversa da quelle esistenti. Genova, la Fao, la Nato sono occasione di una ipotesi politica da contestare, in Italia e in Europa.
Per istinto lo ha capito il governo in carica che concede dialogo solo per limitare l'ipotesi violenza, ma non è disposto a nessuna concessione sul piano dei contenuti, in quanto il movimento è un vero e proprio "nemico politico".
La terza anima è quella cattolica: aveva aderito a Genova perché ai movimenti cattolici interessava far emergere le "contraddizioni" planetarie: il debito, la fame, la salute, la giustizia. La loro presenza a Genova era possibile in quanto occasione di sensibilizzazione e di cambiamento per i problemi dei popoli.
I nodi delle diversità sono esplosi. Il movimento perderà la componente cattolica, in quanto non interessata alla costituzione di un movimento politico, oggetto delle attenzioni dei centri sociali e della sinistra movimentista. La fame nel mondo o la vendita delle armi per i movimenti cattolici, non può essere ridotta alla costituzione di "nuovi" equilibri politici all'interno dei sistemi occidentali.
Non solo: i movimenti cattolici vanno alla ricerca del cambiamento delle coscienze, quale premessa di proposta alternativa. Non entrano direttamente nell'agone della politica, con strumenti di lotta politica.
A tutt'oggi non si vedono spiragli di soluzione: il movimento continuerà sulla sua strada politica; la componente cattolica ritornerà alla sua opera di sensibilizzazione delle coscienze.
Il dialogo andrà avanti stancamente, tutti nel dichiarare che ogni cambiamento esige adesione profonda delle coscienze e strumenti di lotta politica adeguati, ma la frattura del movimento è seria.

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