E' sempre terribile la notizia della morte in guerra di un padre, di un figlio, un fratello, un fidanzato, un marito, un amico. Lo proveranno tutto, senza sconti, le famiglie dei nostri carabinieri e militari, morti in Iraq.
Gli uomini delle istituzioni faranno di tutto per dare solennità a quelle morti: funerali di stato, con bandiere, fanfare e medaglie. Alle famiglie resteranno foto, lettere, telefonate. Presto ingialliranno, per lasciare il posto al silenzio duraturo della scomparsa del loro caro. Hanno chiesto di non fare polemiche: tutti silenziosi di fronte alla morte. Ma nonostante il silenzio imposto, rimane la domanda se il sacrificio di quelle vite era necessario. Noi rispondiamo di no: come non era necessaria la guerra.
Hanno manomesso rapporti di intelligence dei loro paesi pur di convincere l'opinione pubblica che era necessaria; si sono autoproclamati angeli giustizieri prima contro la armi di distruzione di massa, poi contro il dittatore Saddam, ora contro il terrorismo. Giustificazioni postume per dire a tutti che la guerra era doverosa. L'Italia ha spedito contingenti di uomini, soprattutto del sud che, con l'essere militari, si riscattano dalla disoccupazione e dalla vita precaria; hanno dato giustificazioni altruiste e nobili a una guerra che non era né nobile, né gratuita. Qualcuno aveva scongiurato di ricorrere a tutti i mezzi, ma non alla guerra, per fermare Saddam: ricordiamo tra questi il Papa. Ha invocato, pregato, attivato messaggeri e diplomazia. Inascoltato, perché occorreva liberare l'umanità dalle forze del male, rimproverandolo, nemmeno troppo discretamente, di favorire la feroce dittatura di Saddam.
In queste ore, nella nostra Italia, la giustificazione della presenza italiana in Iraq ondeggia tra l'immagine di soldati forti che combattono il terrorismo e quella di portatori di umanità che fraternizzano con le popolazioni locali. In Iraq incombe una guerra, dichiarata vinta, ma che si dimostra non vinta. E tra le tante vittime risultano nostri concittadini perché sono stati identificati con il nemico. I nostri soldati sono morti per una guerra di governi; nemmeno di popoli. L'affetto va alle famiglie dei nostri soldati e non colmerà l'inutilità di vite perdute. Ritornino a casa tutti i nostri uomini: potranno partecipare alle missioni umanitarie solo ed esclusivamente quando saranno effettivamente garanti di pace e di fraternità: non certamente in Iraq.
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