[v. lancio 1 marzo 2001, ore 14.21 - “Morti militari in tempo di pace…”]
Come spesso accade, un lungo impegno, accompagnato dall'isolamento, fa emergere "verità scomode": l'ultima è l'inchiesta di due associazioni di parenti militari morti in servizio che fanno luce nel periodo 1976-1999.
Oltre diecimila morti, trecento ogni anno, pur essendo in tempo di pace.
Non è difficile immaginare la ritrosia dei comandi nello spiegare i 27 suicidi di ragazzi nel 1999. Le parate e i linguaggi mal si adeguano a "sconfitte", quali le morti. Il tutto coperto da un silenzio tombale, in onore della "patria". Quando è l'autorità a mimetizzare la verità, difficile scoprire come effettivamente si sono svolti i fatti. Non dimentichiamo le azioni non sempre limpide dei nostri comandi in situazioni delicate della storia recente del nostro paese.
Eppure quelle morti non trovano nemmeno il rimpianto e il ricordo. Il tutto liquidato con una cinquantina di milioni a titolo di risarcimento per ogni morte. Le forze armate applicano "il conteggio" delle assicurazioni sugli incidenti della strada. Se non dimostri il tuo reddito al momento della morte, non è possibile moltiplicarlo per tutti gli anni della vita media degli uomini in Italia.
Molti di quei ragazzi morti, probabilmente, erano alla loro "prima occupazione"; per questo la loro vita vale poco.
Probabilmente il tam tam della situazione è molto più esplicito di quanto si immagini, se occorrono spot pubblicitari per far arruolare gente volontaria nelle forze armate.
Quando verrà il momento di una "normalità" del mondo militare, che faccia applicare le stesse leggi vigenti nella vita civile?
Quando resisterà questa specie di "zona franca" in cui tutto si aggiusta e si sistema?
Ma non è colpa solo degli addetti al lavoro: la coscienza civile sembra aver abdicato ad ogni controllo a vantaggio degli specializzati, compresa la tolleranza. Importante è la propria tutela. Se qualche incidente avviene, pazienza. Pazienza non può avere chi ha avuto una persona giovane scomparsa. E giustamente.
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