09/03/01

La paura delle grandi sfide

Difficile fare un bilancio complessivo, al termine della legislatura, riguardante i temi del sociale.
Luci ed ombre di un paese che si dice civile, ma che non ha ancora scelto la strada del rispetto e della tutela di tutti.
Tra le luci, certamente la celebre legge sulla "riforma dell'assistenza": dopo un secolo si è messo mano su un complesso mondo, caratterizzato, fino a ieri, da interventi parcellizzati e incompleti, come luci sono state le disposizioni sulle adozioni, sul servizio civile, sull'associazionismo, sull'immigrazione, sull'infanzia, sulla sussidiarietà.
I temi più "duri" sono rimasti nel cassetto: la situazione delle carceri italiane, senza progressi e senza amnistie; la cooperazione internazionale, ancora una volta rimandata, la pedofilia, la tratta degli esseri umani.
Temi delicati e complessi che dicono esplicitamente che la nostra cultura (e il nostro parlamento) non si sono ancora adeguati alla realtà - molto spesso drammatica - che la globalizzazione ha rapidamente attivato.
L'impressione generale è che il livello di coscienza si fermi sulle grandi sfide: è come se l'Italia volesse rimanere quel tranquillo paese di provincia che ha sì qualche problema, ma che non è coinvolto con i processi devianti del mondo (si pensi alle mafie).
Tutto ciò in contraddizione con il passo reale della vita: i nostri piccoli e medi industriali attraversano il mondo, esportano e importano merci e manodopera, senza paura di lingue e frontiere. Di fronte agli effetti perversi dell'apertura delle frontiere, tutti ritornano abitanti del villaggio.
All'orizzonte si delinea così una specie di immaturità collettiva che impedisce di affrontare i "limiti" del mondo, accontentandosi della positività dell'azione dei pionieri del commercio e della produzione. Alla lunga il ritardo si pagherà: ci auguriamo senza gli appelli drammatici, quanto inefficaci, alla sicurezza o all'identità.
Credere che ogni azione tesa all'espansione dell'economia possa o debba produrre solo ritorni di benessere, più che ingenuità dimostra una grossa dose di stupidità: civile e anche morale.

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