Ritornano ossessive le immagini delle giovani donne cecene, vestite di nero, morte asfissiate e lasciate sole tra le poltrone del teatro di Mosca.
Sono il simbolo della morte: portatrici e vittime di distruzione e di dolori.
Colpite dalla morte dei loro mariti o dei loro cari, vogliono redimerli trascinando con sé quanta più violenza e sangue possibili. I loro grembi cullano tritolo, le loro mani stringono pistole. La morte le ha ghermite tutte, quasi a voler sancire la regola della vendetta, che trascina con sé altre vittime innocenti.
Dai loro occhi, mentre erano in vita, non si riusciva a leggere i loro sentimenti, ma la loro presenza tra i sequestratori non lasciava dubbi.
Sono il simbolo della tragedia: ragazze che hanno vissuto la disperazione e di essa sono morte e hanno fatto morire.
Il silenzio del teatro e la loro solitudine sembrano dire che ogni violenza e ogni reazione violenta producono dolore senza ritorno. Con l'aggravante che la vita di quelle donne e degli ostaggi non placherà il desiderio di sangue che in quelle terre lontane, da secoli, rendono impossibile la convivenza tra popoli.
Ricordano i lutti di altre donne, in tutte le parti del mondo: il nero delle vedove, il nero della vergogna, il nero di chi deve pagare un prezzo alla vita, al di là delle responsabilità e delle verità.
Nessuna intelligenza umana riuscirà a mettere insieme una logica capace di spiegare di chi è la colpa del male procurato agli altri e a se stessi.
Nelle chiese cattoliche, proprio ieri, ha risuonato l'invito evangelico ad amare il prossimo come se stessi. Un invito che sembrerebbe lontano infinitamente dalle lotte fratricide di guerre attive in molti paesi del mondo.
Eppure, di fronte al dramma estremo di vittime e di persecutori, l'invito a rispettarsi e a volersi bene per una convivenza pacifica resta una indicazione necessaria.
Un invito a pensare e a vivere, contro la sfida del male che produce distruzione, con gli strumenti della verità, della giustizia, della fratellanza.
Anche se giustizia e verità hanno contenuti limitati perché immersi nello spazio e nel tempo di chi li vive.
Ma forse questa è la sfida di ogni esistenza umana.