L’annuncio delle dimissioni di Benedetto XVI è da
interpretare come un gesto nobile. La motivazione che ha addotto, per l’età
avanzata, mostra una sensibilità umana e anche un profondo senso di fede.
Da una parte non si è sentito più in grado di affrontare i
mille problemi che la gestione della Chiesa oggi nel mondo pone e l’ha
confessato; dall'altra ha detto a sé e a tutti noi che non si ritiene
indispensabile. Ha aggiunto: che io me ne vada è per il bene della Chiesa.
Ciò significa che, nonostante la responsabilità di essere
capo della Chiesa, è rimasto un uomo con la propria coscienza a fare i conti
con la condizione di età e di salute.
Ci piace ricordare, tra gli ultimi suoi interventi, il
messaggio per la Quaresima di quest’anno.
Seguendo il filo dell’anno della fede, ha insistito sul
rapporto fede-carità.
Per la prima volta ha unito le due virtù con legami molto
profondi. Riprendendo le sue parole: “la fede precede la carità, ma si rivela
genuina solo se è coronata da essa. Tutto parte dall'umile accoglienza della
fede (il sapersi amati da Dio), ma deve giungere alla verità della carità (“il
saper amare Dio e il prossimo”).”
Il tema dell’azione di Dio, benevola per l’umanità, ritorna
nel suo insegnamento. Le sue tre encicliche girano intorno a questo nucleo di
intuizione.
Esternamente non ha avuto l’accoglienza calorosa, perché il
suo linguaggio era forse troppo teologico, né aveva le caratteristiche del
trascinatore di folle. E’ stato sostanzialmente un teologo: per alcuni versi è
sembrato intransigente, ma a leggere bene i suoi interventi, si è mostrato più
tenero e attento di quanto si immagini, aprendo varchi nella dottrina della
Chiesa.
Con il tempo, studiando le sue opere – molte – si potrà
apprezzare meglio la portata della dottrina.
La condizione della Curia romana, la gravissima situazione
degli scandali degli ecclesiastici, la globalizzazione delle problematiche
ecclesiali hanno contribuito nella decisione delle dimissioni.
Un gesto, ripetiamo, sincero e nobile.
Caro Don Vinicio Albanesi, ognuno ha il diritto di pensarla come vuole ma Io, riguardo all'accaduto, rimango comunque di un'opinione del tutto diversa.
RispondiEliminaCordiali saluti,
Ilaria Maiolatesi
Don Vinicio, sò che Lei è un cultore del bello, il bello che comunica, sono stato più volte a messa nella sua parrocchia; la comunità presente, il luogo così artisticamente accogliente, le sue parole mi hanno aiutato a pregare.
RispondiEliminaProvo ad affrontare quanto accaduto attraverso una via dialetticamente impervia, la via del linguaggio artistico caro alla storia della chiesa, linguaggio che comprende ciò che spesso le parole possono solo delimitare, riflessioni non giudizi come arte insegna.
Immagino che la decisione di papa Benedetto decimo sesto sia stata un passo ponderato, libera scelta d’uomo, dialogo intenso di preghiera. Luogo privato dei papi in vaticano è la cappella Paolina (voluta da Papa Paolo III Farnese) a poca distanza dalla cappella Sistina luogo del conclave e delle estese rappresentazioni della dottrina della fede e della chiesa. Nella più piccola cappella Paolina i temi rappresentati sono più intimi ma al contempo ugualmente dirompenti. Michelangelo pone la sua mano rappresentando la "Crocifissione di Pietro" con la personale e comunicativa scelta di raffigurarlo adagiato sulla croce rovesciata con il capo a fatica irto e rialzato con uno sguardo intenso e fiero fisso verso l’accesso della cappella in attesa dell’entrata del Papa.
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Voglio immaginare la quotidianità di questi ultimi eventi ove Papa Benedetto è raccolto in preghiera. Accanto i vangeli in cui Pietro stesso racconta e testimonia per merito degli evangelisti i limiti della fede di ogni uomo, accanto il Pietro di Michelangelo con sguardo fisso pronto a fare spazio sulla croce ... accanto. Roberto Bellavigna Parma
Bene Vinicio,
RispondiEliminaun commento del tutto condiviso. Mi ricorda le lunghe conversazioni di appena una quarantina di anni fa lungo le strade del quartiere delle valli. un abbraccio paolo (e lella, naturalmente).