24/04/12

I tagli al sociale e la cultura di questi “tecnici”

Vorremmo che la rassicurazione del Ministro dell’Interno a proposito dei militari, “sulla sicurezza non si risparmia”, fosse estesa alla salute e all’istruzione: è la richiesta esplicita al Governo. Sono i beni fondamentali di un paese civile. Purtroppo non è così. Le risorse per il sociale sono ridotte al lumicino, con crolli di oltre il 50% rispetto a qualche anno fa. Il gioco dei trasferimenti Stato centrale-Regioni-Comuni-famiglie serve a tutelarsi contro le richieste. Il risultato è il peso scaricato
sulle famiglie.
Situazioni difficili riguardanti gli anziani, i disabili, i minori, la povertà in genere sono lasciati lì, quasi si trattasse di un evento ineluttabile. Alla periferia si lasciano le decisioni più dolorose, promettendo – cosa che non avverrà – che la situazione migliorerà, quando la ripresa sarà in atto. Una cantilena ingannevole, sentita da sempre:
lasciateci crescere, quando le cose van bene; ora non è possibile, perché la crisi economica è profonda, dimenticando che, nella crisi, i deboli restano i più colpiti.
Nel frattempo si invoca solidarietà: gruppi, famiglie, volontariato che dovrebbero supplire a problemi troppo grandi e ingestibili, senza il supporto di una politica sociale robusta.
L’attenzione è rivolta alla macroeconomia, quel mondo che ha prodotto il risultato di affidare al 10% delle famiglie italiane il 45% delle risorse.
La forbice tra ricchi e poveri si allargherà ancora, perché nella logica di tutelare i tutelati, i ricchi saranno sempre più tali, i poveri sempre più numerosi.
Il governo dei tecnici appartiene a quel ceppo di cultura che crede nello sviluppo economico creato dal libero mercato. Insiste a invocare equità, ignorando i capisaldi di un equilibrato convivere sociale. Insegue mercati, non volendo capire che la speculazione finanziaria non ha cuore, ma gioca con l’unico obiettivo dell’arricchimento. (Pubblicato su Famiglia Cristiana n. 19/2012)

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