Piergiorgio Welby nel suo videomessaggio al presidente Napolitano pone il problema estremo della vita e della morte. Egli dichiara che la sua vita è non vita, in quanto gli vengono negate dalla malattia tutte quelle funzioni, anche minime, che gli permettevano di essere attivo.
Qualche giorno fa, nella nostra Comunità, è morta una signora che era esattamente nelle sue condizioni: non ci ha mai chiesto di morire. E’ morta perché il cuore era esausto.
Alcune considerazioni, a proposito dell’eutanasia, possono essere utili.
La prima è che anche nelle condizioni estreme di malattia irreversibile le reazioni di chi sta male non sono affatto uguali. Non tutti desiderano la morte: anzi. C’è chi chiede disperatamente di far qualcosa oltre il limite immaginabile. Nessun protocollo sanitario oggettivo può disporre dunque il confine oltre il quale l’intervento terapeutico va interrotto. Né terzi (parenti, amici) possono disporre della vita altrui. Nel coma più profondo nessuno può dire se quella persona desiderava vivere o morire. Nella vicenda di Terry Schiavo, la ragazza americana fatta morire da terzi, il dramma è stato è che qualcuno ha deciso della vita di qualcun altro, senza averne diritto.
La seconda considerazione riguarda chi, sfinito, chiede di morire. Credo che la chiave di volta sia non già nel desiderio della morte, ma di una vita ancora degna di essere vissuta.
L’intervento sanitario, nei casi estremi, va diretto alla qualità della vita e non già alla sua durata. La questione è drammatica nella terapia del dolore. Se la malattia è irreversibile è inutile far durare qualche giorno di più la vita, facendo patire dolori indicibili. Non è giusto seguire protocolli terapeutici uguali sia se la speranza di vita sia lunga, che breve, sia con speranza di guarigione o senza.
La terza considerazione riguarda “la qualità” complessiva della vita. Il desiderio di morte si attenua se qualcuno, nonostante la malattia, è circondato da chi gli vuol bene.
Se, nonostante tutte le attenzioni, qualcuno chiede di morire, non è possibile rispondere a questo desiderio, perché nessuno può aver potere di dare morte. La morte infatti è negativa sempre e comunque. Nelle guerre, nelle devastazioni, nelle povertà e anche nelle malattie. Chi chiede di morire può invece desiderare e ottenere che l’accanimento terapeutico non prosegua senza discernimento umano. La scienza deve sempre e comunque relazionarsi con la qualità complessiva della vita e, anche per motivi nobili, non può travalicare la dignità della singola persona, della quale resta strumento.
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