E’ molto difficile mettere insieme i momenti di precarietà che attraversano la vita delle persone in questi ultimi tempi, con la gioia del messaggio di Natale che viene.
Abbiamo da sempre predicato la povertà, l'umiltà e la pochezza della vicenda di Betlemme: è come se d'improvviso fossimo oggi chiamati a vivere quella pochezza di mezzi in prima persona e non da spettatori, come in altri anni. Essere lieti non è facile. Il lavoro che non c'è; la paura dei terrorismi vicini e lontani; la rabbia di lavoratori che non si sentono sufficientemente tutelati; il male che incombe nell'universo, nella nostra Italia, nelle famiglie, la solitudine triste e pericolosa. Una serie di circostanze che fa stare desti, in una gioia contenuta e non rilassata, perché forte è l'incertezza del futuro. Un momento di prova potremmo dire. Eppure è il clima che hanno vissuto Maria e Giuseppe: l'invasore straniero, il viaggio precario, l'arrangiarsi per la nascita, la fuga in Egitto, la strage degli innocenti. Un po’ come viviamo oggi: nella precarietà del presente e del futuro, anche tra tragedie di morte e di guerre.
Quella nascita storica che ha dato i contenuti della nostra fede è partita dal gradino più basso della condizione umana, perché da quel gradino ripartisse la speranza. Non è difficile trarre insegnamenti, celebrando il Natale del Signore.
L'apprezzamento e il ringraziamento prima di tutto di quanto abbiamo: è molto, se paragonato alle condizioni di fame e di violenza sparse nel mondo. Il benessere che sembra svanire è ancora alto e diffuso, anche se non mancano zone d'ombra e di pericolo.
Ma forse l'insegnamento più bello viene dalle parole dell'evangelista Luca: "E all'improvviso ci fu con l'angelo una moltitudine dell'esercito celeste che lodava Dio e diceva: "Gloria a Dio nelle altezze e sulla terra pace agli uomini della sua benevolenza" (Lc 2,14).
E' l'auspicio della ricostruzione del giardino dissestato dal male, perché rifiorisca nella natura e nei suoi abitanti.
L'universo affidato alle creature deve poter risorgere, nel rispetto di ogni creatura animata e inanimata, nell'offrire occasioni perché ogni abitante della terra sia felice della vita da Dio concessa.
Non può esistere Natale per chi è ripiegato su se stesso, pur preoccupato di sé e dei suoi. Non possono star bene solo coloro che hanno pelle bianca, sono cittadini riconosciuti, hanno lavoro, sono integrati, non sono vecchi, non sono malati.
E' l'illusione di chi conta, salvo scoprire che i propri risparmi vanno in fumo, che i figli sono costretti ad emigrare, che le pensioni di vecchiaia sono insufficienti, che nessuno garantisce la tarda età. Ogni qual volta si abbandona la giustizia e ritorna l'ombra dell'elemosina è come un'ombra di morte che copre la terra, non soltanto per coloro che sono costretti a chiederla, ma anche per coloro che si dichiarano disposti a concederla.
Il disegno di Dio è solare: figli e figlie destinati tutti a "godere" della vita, nell'equilibrio del rispetto, così che a ciascuno sia garantita la speranza di vita.
Il Natale ritorna non per rimproverare, ma per illuminare le menti e riscaldare i cuori, perché tutte le creature comprendano e capiscano qual è il disegno di Dio su ciascuno.
I momenti di difficoltà come questi servano dunque a "ripartire" negli slanci di idealità della vita. Il sole tornerà a splendere sulla terra, se i suoi abitanti sapranno rivedere in positivo le proprie intenzioni e azioni. Se riusciranno a superare paure, pregiudizi, inganni e ingiustizie. Il segno del bambino è il segno della vita dignitosa che deve poter esplodere nella crescita e nella vita piena.
Dio fattosi uomo è la garanzia della sacralità del creato, nel rispetto della natura e delle creature: a ciascuno la risposta.
Pubblicato sul quotidiano Europa