12/10/01

I cattolici e la guerra

Infuria la polemica - si fa per dire - sul pacifismo cattolico, dopo l’annuncio della guerra da parte di Bush contro il terrorismo, con riferimenti, per l’Italia, alla partecipazione di ieri dei cattolici al G8 di Genova e alla marcia della Pace di Assisi, appena domani.
La risposta cattolica, per la tradizione, per i martiri dei secoli e soprattutto per il Vangelo è la presa in carico del male e quindi il perdono.
Nessuna vendetta, ritorsione, difesa sono possibili se si segue il fondatore del cristianesimo, morto ingiustamente, senza difese.
Il riferimento al Dio cristiano misericordioso non può essere relegato a scelte opzionali e personali. Ogni qual volta qualcuno procura il male, la strada evangelica è: parlagli, confrontalo nella comunità, allontana da te il male, ma a nessuno è permesso di esprimere giudizi e tanto meno disporre della vita del nemico.
Sappiamo bene che storicamente non sempre è stata seguita questa strada.
Si è fatto appello a mille ragioni che hanno permesso agli stati cristiani, di fare “guerre” giuste e anche ingiuste.
La drammaticità degli ultimi avvenimenti pone, ancora una volta, la domanda.
Ancora oggi cristianamente la risposta è la stessa: nessun missionario perseguitato o a rischio di vita si è mai sognato di armarsi, di difendersi, di aggredire e annientare il nemico. Il missionario martire ha cercato semplicemente di essere evangelico e per questo spesso è dichiarato “santo”.
Questa posizione, che può sembrare radicale, in realtà è la sola posizione teologicamente corretta.
Diverse sono le considerazioni “politiche” che un popolo o un gruppo di popoli può fare di fronte ai propri nemici. In questo caso sono altri i principi morali – che pure debbono esistere – che debbono dirigere le azioni di uno stato di fronte alle aggressioni.
Se in queste considerazioni si inserisce il cattolico, la sua presa di posizione è quella appena espressa. Può essere giudicata come vigliacca, utopistica, inconcludente e con mille altre definizione, ma quella è e quella rimane.
Ogni qual volta il cattolico piega il suo credo a considerazioni “umane” tradisce la sua fede e il suo credo.
Il credo cattolico non è manipolabile, perché fa riferimento a Dio che solo dispone del bene e del male.
Chi tentasse di coinvolgere in considerazioni “umane” il credo cattolico, fa un brutto servizio a se stesso e al cattolicesimo.
Forse è arrivato il momento, anche in Italia, di rispettare posizioni che possono non essere condivisibili, ma è cosa peggiore, per piccoli calcoli contingenti, piegare fedi e sconvolgerle.
Ma probabilmente, in questa manipolazione, risiede la radice della debolezza del cattolicesimo occidentale di fronte ad altri fedi “nemiche”.
A Genova ieri, ad Assisi domani i cattolici sono chiamati ad una radicalità senza eccezioni, noncuranti che altri giudichino diversamente e agiscano in modo difforme: nessuno infatti oggi pensa che in Italia o in Europa uno Stato debba dichiararsi “cattolico”.

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