24/05/02

Politiche sociali governative:

Non ci vuole molto per commentare il primo anno dell'attuale governo sulle politiche sociali in Italia.
Sostanzialmente sono stati due gli impegni: l'integrazione al milione della pensione ai vecchi poveri, la legge sull'immigrazione.
Il resto è tutto uno slogan; un faremo, un vedremo, infiniti "libri bianchi" che vorrebbero ricominciare dall'anno zero, in realtà prendono tempo in attesa di...
Dagli appelli e dagli annunci comunque si possono trarre linee di orientamento “sociale”.
La prima constatazione è l'assoluta indifferenza governativa alle politiche sociali della popolazione debole. Nessuna risorsa aggiuntiva, nessun interesse ai cittadini e cittadine in difficoltà.
Non fanno parte della strategia governativa, tutta incentrata su chi ha già risorse. La stessa legge sull'immigrazione è concepita come occasione di risorse e non come legge sociale: questa legge sembra dire agli immigrati "mi spiace per voi, ma noi non possiamo che guadagnare dalla vostra presenza in Italia; in caso contrario statevene pure a casa: con le buone, altrimenti useremo le cattive". Su questa proposta di legge l'attenzione è stata posta eccessivamente sulla sicurezza e sull'integrazione. In realtà è un mix dal doppio volto, sociale ed economico: il secondo è prevalente.
Altro elemento di riflessione: il Ministero del Welfare è debolissimo nella compagine governativa. I grandi temi sociali (immigrazione, prostituzione, carcere...) sono appannaggio dei leader massimi; il resto è talmente routine che il lavoro consiste nello stoppare l'esistente e nel prendere tempo per il futuro. Ciò significa che l’attenzione è verso la popolazione “normale” e non verso “i vulnerabili”.
Altro dato ancora è l'assoluta mancanza di risorse: non sono previsti investimenti nel sociale, anzi; si tenta di spolpare quel poco che esiste: la voracità non ha mai limite.
Il terzo elemento è la filosofia che sottostà alla concezione di politiche sociali. Può essere sintetizzata con la regola della doppia g: "guarire, guardare". La politica è attiva se c'è speranza di guarigione. Chi non ce la fa può essere reso solo innocuo (cfr. tossicodipendenza, prostituzione, psichiatria). Per chi è cronico, strutturalmente debole e senza speranze, pazienza. Non si possono investire risorse su chi non ha speranza.
Quarto elemento: immissione del privato profit e non profit nelle politiche sociali. Largo spazio alle imprese profit (a svantaggio di chi utilizza i servizi) in linea con le politiche di sviluppo economico, appello a quelle non profit perchè sostanzialmente a basso costo.
Nel complesso dunque la politica del governo sta esaltando, con estrema chiarezza, la concezione del cittadino produttore di economia. Solo costui ha diritti di parola e di tutela. Da questo punto di vista è lineare l'innalzamento della pensione agli ultrasettantenni poveri, i fondi per gli asili nido, le promesse per le famiglie. Chi, per motivi diversi (di razza, di salute, di territorio, d'età) non ha questi requisiti, non può che essere assistito per bontà da chi lavora e produce. Sintomatici i gesti del Presidente del Consiglio di offrire 5 milioni alla prostituta e di esporre la bambina al rientro dall'Algeria.
Questa concezione spazza via d'un colpo ogni politica di welfare occidentale, per ritornare alle politiche di sopravvivenza, caratteristiche dei paesi poveri o emergenti.
Ma se in quei paesi è drammatica la scelta in quanto le risorse sono effettivamente poche, nel nostro paese diventa crudele e colpevole trattare i cittadini in maniera diversa e discriminatoria.
Nel tempo questa politica diventerà più esplicita. Fa tristezza che non se ne renda conto chi dovrebbe. Tutti coloro che dicono di aver rispetto della persona - primi fra tutti gli uomini di Chiesa e i cosiddetti “politici cattolici”- a prescindere da ogni altra considerazione. Un esempio: la recente "grande discussione" tra badanti e la ...

27/03/02

La Pasqua dei “vulnerabili

Tra poco sarà Pasqua e, nella tradizione cristiana, questa festa significa la sconfitta del dolore e della morte, con una visione che suggerisce la speranza della soluzione di problemi insoluti, anche gravi.
Nella nostra Italia, pure cattolica e osservante, la festa è ridotta alla dimensione privata della fede popolare.
Nemmeno un cenno pubblico allo scandire della grande festa religiosa. Non solo, ma sembra che "i problemi", molti e irrisolti, siano affidati a mani indifferenti e ostili.
Per noi che viviamo a stretto contatto con le sofferenze dei "vulnerabili", la Pasqua ci suggerisce di mantener fede agli impegni, sicuri che, nel tempo, le ragioni della vita prevarranno.
Il clima che ci circonda è chiaramente astioso ai vulnerabili: di un'ostilità sfacciata e volgare, attenta agli interessi dei benestanti, infastidita da chi osa mettere in dubbio questa logica.
Non si tratta, come stupidamente si va ancora dicendo, di toni sbagliati. Si tratta dell'emersione di una visione autocentrata su chi ha e su chi può, con una catena di conseguenze antropologiche, istituzionali, politiche, giuridiche, economiche.
Non abbiamo nessuna voglia di separare spiriti e corpi; dimensioni personali e dimensioni collettive, ambiti laici e religiosi.
La fede ci suggerisce un'unità di intenti e di azioni, protesa al benessere di tutti, sia nella dimensione spirituale che in quella materiale.
Sono questi i motivi che ci spingono ad opporci a quanti, rappresentanti del popolo o semplici cittadini sono sordi ad ogni invito all'attenzione e alla solidarietà per i deboli.
Non si tratta di dettagli di scelte, di leggi, di orientamenti: si tratta di sapere chi sono i destinatari dell'azione singola e collettiva.
La Chiesa ufficiale italiana, in questa seconda Pasqua di inizio millennio, tace con un silenzio colpevole, quasi che le azioni pubbliche e private siano indifferenti. Se non è opportuno scendere su terreni di scelte pratiche, non è possibile tacere se le persone sono ridotte a forze lavoro, se i vulnerabili sono considerati marginali, se i deboli sono sorretti solo con azioni compassionevoli.
Non sono queste le matrici del cattolicesimo: chi se ne allontana è un traditore del nucleo centrale del messaggio cristiano, al di là delle autoproclamazioni o, peggio ancora, delle autoassoluzioni.
Per motivi profondi di coscienza continuiamo a stare dalla parte dei vulnerabili, difendendone la dignità, tutelando la loro salute, promovendo il loro futuro.
Saremo parte attiva, per ciò che ci compete e per quanto siamo capaci, nel coinvolgimento di coscienze vive perché il benessere sia partecipato a tutti, contribuendo al grande progetto dell'universo, nel quale ogni creatura, ha il posto e la dignità che gli compete.

21/02/02

Sana e vispa

Il primo anno dell'agenzia può essere paragonato al compleanno di una bambina: concepita di proposito, sta crescendo con intelligenza e in salute.
Chi ha seguito "redattore sociale", l'incontro con i giornalisti che ogni anno, da otto anni, si tiene a Capodarco, sa bene che il progetto dell'agenzia è stato pensato a lungo e quando è nata i loro genitori sapevano bene che cosa volevano.
Due caratteristiche la contraddistinguono: la prima è che viene dal mondo della marginalità. Immersa fisicamente nelle strutture e nella vita della Comunità di Capodarco, è in continuo e costante contatto con i problemi veri della marginalità. Il riferimento al Coordinamento delle comunità di accoglienza (C.N.C.A.) permette di monitorare "concretamente" i problemi che affronta.
Contatto oggi allargato a 1.100 associazioni in Italia, come dimostrano le schede annesse all'agenzia.
Si può dire che non c'è fenomeno "sociale" di rilievo che oggi non sia intercettato dall'agenzia.
La seconda caratteristica che la contraddistingue è quella di essere composta da professionisti dell'informazione. Giornalisti e ricercatori che in sede e nel territorio comunicano "notizie".
Non insegue polemiche e ciarpame pure presenti nel mondo del sociale, ma si impegna a far emergere "i problemi" e le "soluzioni" del vasto mondo delle politiche sociali, non escluse la "teorizzazione" seria dei fenomeni.
Queste due caratteristiche spiegano "il successo" dell'agenzia i cui abbonamenti dicono il suo valore e la sua consistenza.
L'unica nota stonata è l'ottusità con la quale il nuovo Ministro del welfare ha staccato la spina, con due righe di fax, con la promessa di spiegazioni, mai arrivate.
Quel fax è appeso, debitamente incorniciato, alle pareti dell'agenzia, fa disonore a chi l'ha spedito e non già a chi l'ha ricevuto.
Le prospettive dell'agenzia sono quelle di consolidarsi nei referenti e nel territorio. I visitatori del sito, moltissimi dei quali professionisti, con riscontri nelle testate e nei notiziari, ci fanno sperare.
Andremo dunque avanti, sicuri di fare un servizio utile e doveroso: il tempo continuerà a darci ragione.
L'unica salita, come era da prevedere, è quella economica: senza capitale sociale e senza veri investimenti, si fa fatica a vivere nei giorni.
Questa difficoltà è la riprova di non essersi affidati al "mercato", di non aver avuto "sponsor", di aver iniziato e proseguito nello stile del "no profit". Siamo felici di tutto ciò, anche se la felicità non è mai a buon mercato.

30/01/02

Rai, non chiediamo niente

Di fronte al rinnovo dei vertici Rai, il mondo della società civile credo possa chiedere ciò che rappresenta e cioè la normalità.
Milioni di cittadini e cittadine sono costretti ogni giorno a tirare avanti, con i problemi della vita: lavoro, casa, trasporti, salute, istruzione dei figli, sicurezza, prospettive del futuro.
Rappresentare questo mondo sembra facile, in realtà, in radio e in video, è estremamente difficile.
Non bisogna annoiare, ma nemmeno rifugiarsi nel sogno; occorre divertire, ma anche affrontare i problemi seri; problematizzare, senza esagerare.
La vita nasconde un'infinità di anfratti che val la pena di sondare e svelare.
Con uno slogan, caro ai giornalisti, la prima grande direttiva è raccontare le storie: storie brutte e belle; storie assurde, ma anche molto normali e positive; storie serie, ma anche divertenti e di evasione. E' dalle storie che si può risalire ai legami, alle cause, alle trasformazioni.
Storie non soltanto di persone, ma anche di luoghi, di periodi, di ambienti, di futuro.
Il vezzo di inseguire spicchi privilegiati di società (politica, cultura, cinema, sport, economia) nasconde l'autocelebrazione di chi ha poteri e approfitta del mezzo di comunicazione pubblico per propri privilegi.
Lo squilibrio tra dettagli di palazzo e vita reale va soppresso, pena la disassuefazione dai mezzi di comunicazione, con il risultato di un pessimo servizio di informazione.
Per raccontare le storie occorre genialità: capacità cioè di risalire da circostanze normali, a messaggi oltre le circostanze. In questi passaggi si misurano professionalità, creatività, arte e cultura.
Solo grandi professionisti sono in grado di rendere generale ciò che è particolare; interessante ciò che è ovvio; illuminante ciò che appare scontato.
Inseguire "la notizia" e gonfiarla quando non lo è, significa non essere in grado di leggere ciò che avviene nella realtà: sotto casa, ma anche nel paese e nel mondo.
Il traino alle sole notizie di agenzia non paga: la radio e la tv diventano scontate e fotocopie di altri che hanno deciso e scritto. C'è, in termini espliciti, da recuperare il mestiere di giornalista, capace di andare a leggere il mondo e raccontarlo.
Infine i toni "apocalittici" ancora oggi troppo presenti, per ogni circostanza, sono artefatti, inutili e stantii. L'antidoto è forse un sano realismo, non esente da ironia e autoironia.
Considerare tutti imperatori e determinanti per le sorti del mondo è fuori da ogni ragionevole realtà ed esprime sudditanza più che creatività.
Sembrerà strano che il mondo della società civile, impegnato nella vita difficile del recupero e della marginalità, non chieda nulla di particolare. Non è strano perché sarebbe un pessimo servizio quello che riducesse il mondo all'attenzione dei soli bisogni.
I bisogni esistono, come esistono le risposte; esiste la marginalità, perché esiste la normalità; esistono le sconfitte, come le vittorie; il ridere come il piangere.
Ci aspettiamo dunque una tv intelligente e creativa: che faccia da specchio alla realtà, ma anche capace di prospettare futuro e soluzioni.
Probabilmente chiedendo poco, chiediamo troppo: è sempre in agguato il gioco di chi promette e mantiene per sé; dichiara attenzione, ma favorisce interessi e amici.
Non possiamo che essere attenti e, se la delusione fosse cocente, spegnere radio ...

07/01/02

Prostituzione e ipocrisia

Ritorna spesso in Italia la discussione sulla prostituzione: in genere quando qualcuno - questa volta il Presidente del Consiglio - protesta per le scene non edificanti sulle strade; qualche altra volta per le lamentele di abitanti di quartieri a rischio.
Le tesi contrapposte sono due.
La prima dice: sistemiamo, una volta per tutte, la storia della prostituzione. Considerato che la prostituzione in sé non è reato, tanto vale organizzarne l'esercizio. Case chiuse, cooperative, quartieri a luce rosse, vetrine ecc. diventano varianti della regolamentazione. Si tratterebbe, in ultima analisi, di trovare la forma più efficace per l'igiene, la sicurezza, la tranquillità sociale, il fisco, la lotta allo sfruttamento.
Esempi di organizzazione non mancano: Olanda, Germania non sono che spunti di un'unica soluzione. Lo stato interviene per i risvolti di ordine pubblico (tranquillità, igiene, tasse ecc.) considerando la prostituzione tra adulti un'attività lecita.
Una seconda ipotesi, molto minoritaria, dichiara che la prostituzione in sé è un mercato "turpe" e come tale va combattuto: non solo sul versante delle donne e uomini che si prostituiscono, ma anche sul versante dei clienti. Un mercato "turpe" non può essere regolamentato, ma semplicemente combattuto e represso.
In Italia sembra prevalente la prima tesi: tanto vale, con coraggio, assumersene le conseguenze e iniziare una ipotesi di regolamentazione. La soluzione però sembra troppo forte, perché regolamentare la prostituzione con una legge fa male a quel "senso comune del pudore" che non sappiamo se derivi dalla coscienza cattolica o semplicemente dalla cultura araba-mediterranea a forte tinte familistiche. La conseguenza è che la prostituzione è sparsa sul territorio nazionale, poggiando su variabili che sfuggono a qualsiasi logica.
Si assiste così alla contraddizione di un vasto permissivismo culturale e a repressioni per la tutela dei propri territori (si vedano le campagne, in genere estive, dei sindaci delle coste adriatiche) anche molto forti.
Personalmente siamo sostenitori della seconda ipotesi: la prostituzione va combattuta perché è uno scambio che non rispetta la dignità delle persone. Quella stessa dignità che impedisce altri contratti ritenuti "turpi": la bigamia, ad esempio, la compravendita di un bambino per una coppia sterile, la cessione di un organo a scopo lucrativo.
Il sospetto è che permanga, nella sottocultura che definisce la prostituzione l'arte "più antica del mondo", un forte contenuto possessivo, per cui il padrone (uomo in genere, ma recentemente anche donna) possa "comperare" molte cose: tra queste anche le prestazioni sessuali. E' forse questo il motivo che vede accomunate culture apparentemente contrapposte, ma che si riunificano nel comune denominatore dell'acquisto.
L'ipocrisia recente mette insieme sostegno alle famiglie regolari e regolamentazione della prostituzione, quasi a voler definire le regole morali del "benpensante" che ha una famiglia perfetta, ma a cui qualche passaggio dalla prostituta o dal femminiello fa bene alla salute.
La volgarità e l’ipocrisia non hanno più limiti.

31/10/01

Droga e slogan

Dopo le esternazioni di questi ultimi giorni, a proposito di droga, noi delle comunità dovremmo essere contenti. Le comunità saranno - secondo la linea del nuovo governo - più libere e tutelate; la guerra alla droga sarà più forte; la salvezza dei ragazzi più vicina.
Ma la "lotta" alla droga, che non inizia da domani, dovrà tener conto, di nodi che nei proclami recenti non hanno avuto spazio. Li ricordo per concretizzare, oltre gli slogan, una strategia efficace.
Il primo è la lotta al traffico di stupefacenti. Non è stato detto nulla di specifico a proposito: grave errore. L'ingresso dell'euro faciliterà purtroppo il riciclaggio di denaro sporco. I traffici illeciti giocheranno con le conversioni euro-dollaro, lasciando ancora meno tracce.
L’“afgano” (ottima eroina secondo i consumatori) presto invaderà tutti i mercati d'occidente, per sostenere la guerra dei talebani. La cocaina (il cui consumo è in crescita) è offerta sempre a minori costi.
Senza un'azione europea e mondiale, la "droga" continuerà a mietere vittime. Dopo Schengen i confini nazionali di fatto sono inesistenti: quale raccordo tra gli stati europei? E con quali risultati se già in alcuni paesi di fatto l'uso di droghe leggere (vedi Olanda, tra poco l'Inghilterra) non costituiscono più reato?
Il secondo nodo sono i consumi delle giovanissime generazioni. I ragazzi più giovani tendono a consumare di tutto: alcol, amfetamine, ecstasy, marijuana, hascish, cocaina. Rimanere fermi alla distinzione tra droghe leggere (da legittimare o proibire) e altre sostanze è un falso problema. La vera battaglia è disincentivare i consumi dannosi, senza distinzioni. La lotta al tabagismo, su scala mondiale, sta portando i suoi frutti: se non si fa altrettanto per le sostanze genericamente inebrianti, la partita è persa. Disincentivare i consumi inebrianti, però (si pensi alla pubblicità degli alcolici), pone gravissimi problemi di strategie "culturali" e commerciali.
Terzo serio problema sono i disturbi "psichiatrici" dei ragazzi tossicomani. Nelle comunità arrivano sempre più giovani che oltre ad essere dipendenti, mostrano veri e propri disturbi della psiche. I tecnici discutono sulla "doppia" diagnosi (da dipendenza e psichiatrica); il sospetto è che spesso i consumi di droga servano a lenire le sofferenze personali con un automedicamento. Se così fosse, le strategie di recupero si fanno ancora più complesse e difficili.
La discussione di questi giorni si è tutta concentrata su comunità sì e servizi pubblici no. E' evidente che l'attenzione, scegliendo in così tanti interlocutori e palcoscenici inadeguati, anche se amici, si è così svilita a piccola esternazione di "politica interna".
Le proposte sono di altra portata e gli impegni ben più vasti e seri. Tra queste ricordiamo:
- strategie di lotta al traffico, in ambito nazionale, europeo e internazionale;
- raccordo tra le legislazioni europee per la disincentivazione ai consumi di sostanze nocive;
- politica organica propositiva "giovanile", senza appelli patetici e generici alle famiglie e alla scuola;
- ricomprensione dei modi di consumo e di conseguenza delle risposte dei servizi.
I ragazzi tossici in Italia sono valutati in 300.000; 145.000 sono in carico ai servizi pubblici, di cui quasi 90.000 hanno più di 30 anni; 19.000 sono in carico alle comunità.
Discuterne nella trasmissione del buon Vespa, è inutile e inopportuno.

12/10/01

I cattolici e la guerra

Infuria la polemica - si fa per dire - sul pacifismo cattolico, dopo l’annuncio della guerra da parte di Bush contro il terrorismo, con riferimenti, per l’Italia, alla partecipazione di ieri dei cattolici al G8 di Genova e alla marcia della Pace di Assisi, appena domani.
La risposta cattolica, per la tradizione, per i martiri dei secoli e soprattutto per il Vangelo è la presa in carico del male e quindi il perdono.
Nessuna vendetta, ritorsione, difesa sono possibili se si segue il fondatore del cristianesimo, morto ingiustamente, senza difese.
Il riferimento al Dio cristiano misericordioso non può essere relegato a scelte opzionali e personali. Ogni qual volta qualcuno procura il male, la strada evangelica è: parlagli, confrontalo nella comunità, allontana da te il male, ma a nessuno è permesso di esprimere giudizi e tanto meno disporre della vita del nemico.
Sappiamo bene che storicamente non sempre è stata seguita questa strada.
Si è fatto appello a mille ragioni che hanno permesso agli stati cristiani, di fare “guerre” giuste e anche ingiuste.
La drammaticità degli ultimi avvenimenti pone, ancora una volta, la domanda.
Ancora oggi cristianamente la risposta è la stessa: nessun missionario perseguitato o a rischio di vita si è mai sognato di armarsi, di difendersi, di aggredire e annientare il nemico. Il missionario martire ha cercato semplicemente di essere evangelico e per questo spesso è dichiarato “santo”.
Questa posizione, che può sembrare radicale, in realtà è la sola posizione teologicamente corretta.
Diverse sono le considerazioni “politiche” che un popolo o un gruppo di popoli può fare di fronte ai propri nemici. In questo caso sono altri i principi morali – che pure debbono esistere – che debbono dirigere le azioni di uno stato di fronte alle aggressioni.
Se in queste considerazioni si inserisce il cattolico, la sua presa di posizione è quella appena espressa. Può essere giudicata come vigliacca, utopistica, inconcludente e con mille altre definizione, ma quella è e quella rimane.
Ogni qual volta il cattolico piega il suo credo a considerazioni “umane” tradisce la sua fede e il suo credo.
Il credo cattolico non è manipolabile, perché fa riferimento a Dio che solo dispone del bene e del male.
Chi tentasse di coinvolgere in considerazioni “umane” il credo cattolico, fa un brutto servizio a se stesso e al cattolicesimo.
Forse è arrivato il momento, anche in Italia, di rispettare posizioni che possono non essere condivisibili, ma è cosa peggiore, per piccoli calcoli contingenti, piegare fedi e sconvolgerle.
Ma probabilmente, in questa manipolazione, risiede la radice della debolezza del cattolicesimo occidentale di fronte ad altri fedi “nemiche”.
A Genova ieri, ad Assisi domani i cattolici sono chiamati ad una radicalità senza eccezioni, noncuranti che altri giudichino diversamente e agiscano in modo difforme: nessuno infatti oggi pensa che in Italia o in Europa uno Stato debba dichiararsi “cattolico”.

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