21/02/02

Sana e vispa

Il primo anno dell'agenzia può essere paragonato al compleanno di una bambina: concepita di proposito, sta crescendo con intelligenza e in salute.
Chi ha seguito "redattore sociale", l'incontro con i giornalisti che ogni anno, da otto anni, si tiene a Capodarco, sa bene che il progetto dell'agenzia è stato pensato a lungo e quando è nata i loro genitori sapevano bene che cosa volevano.
Due caratteristiche la contraddistinguono: la prima è che viene dal mondo della marginalità. Immersa fisicamente nelle strutture e nella vita della Comunità di Capodarco, è in continuo e costante contatto con i problemi veri della marginalità. Il riferimento al Coordinamento delle comunità di accoglienza (C.N.C.A.) permette di monitorare "concretamente" i problemi che affronta.
Contatto oggi allargato a 1.100 associazioni in Italia, come dimostrano le schede annesse all'agenzia.
Si può dire che non c'è fenomeno "sociale" di rilievo che oggi non sia intercettato dall'agenzia.
La seconda caratteristica che la contraddistingue è quella di essere composta da professionisti dell'informazione. Giornalisti e ricercatori che in sede e nel territorio comunicano "notizie".
Non insegue polemiche e ciarpame pure presenti nel mondo del sociale, ma si impegna a far emergere "i problemi" e le "soluzioni" del vasto mondo delle politiche sociali, non escluse la "teorizzazione" seria dei fenomeni.
Queste due caratteristiche spiegano "il successo" dell'agenzia i cui abbonamenti dicono il suo valore e la sua consistenza.
L'unica nota stonata è l'ottusità con la quale il nuovo Ministro del welfare ha staccato la spina, con due righe di fax, con la promessa di spiegazioni, mai arrivate.
Quel fax è appeso, debitamente incorniciato, alle pareti dell'agenzia, fa disonore a chi l'ha spedito e non già a chi l'ha ricevuto.
Le prospettive dell'agenzia sono quelle di consolidarsi nei referenti e nel territorio. I visitatori del sito, moltissimi dei quali professionisti, con riscontri nelle testate e nei notiziari, ci fanno sperare.
Andremo dunque avanti, sicuri di fare un servizio utile e doveroso: il tempo continuerà a darci ragione.
L'unica salita, come era da prevedere, è quella economica: senza capitale sociale e senza veri investimenti, si fa fatica a vivere nei giorni.
Questa difficoltà è la riprova di non essersi affidati al "mercato", di non aver avuto "sponsor", di aver iniziato e proseguito nello stile del "no profit". Siamo felici di tutto ciò, anche se la felicità non è mai a buon mercato.

30/01/02

Rai, non chiediamo niente

Di fronte al rinnovo dei vertici Rai, il mondo della società civile credo possa chiedere ciò che rappresenta e cioè la normalità.
Milioni di cittadini e cittadine sono costretti ogni giorno a tirare avanti, con i problemi della vita: lavoro, casa, trasporti, salute, istruzione dei figli, sicurezza, prospettive del futuro.
Rappresentare questo mondo sembra facile, in realtà, in radio e in video, è estremamente difficile.
Non bisogna annoiare, ma nemmeno rifugiarsi nel sogno; occorre divertire, ma anche affrontare i problemi seri; problematizzare, senza esagerare.
La vita nasconde un'infinità di anfratti che val la pena di sondare e svelare.
Con uno slogan, caro ai giornalisti, la prima grande direttiva è raccontare le storie: storie brutte e belle; storie assurde, ma anche molto normali e positive; storie serie, ma anche divertenti e di evasione. E' dalle storie che si può risalire ai legami, alle cause, alle trasformazioni.
Storie non soltanto di persone, ma anche di luoghi, di periodi, di ambienti, di futuro.
Il vezzo di inseguire spicchi privilegiati di società (politica, cultura, cinema, sport, economia) nasconde l'autocelebrazione di chi ha poteri e approfitta del mezzo di comunicazione pubblico per propri privilegi.
Lo squilibrio tra dettagli di palazzo e vita reale va soppresso, pena la disassuefazione dai mezzi di comunicazione, con il risultato di un pessimo servizio di informazione.
Per raccontare le storie occorre genialità: capacità cioè di risalire da circostanze normali, a messaggi oltre le circostanze. In questi passaggi si misurano professionalità, creatività, arte e cultura.
Solo grandi professionisti sono in grado di rendere generale ciò che è particolare; interessante ciò che è ovvio; illuminante ciò che appare scontato.
Inseguire "la notizia" e gonfiarla quando non lo è, significa non essere in grado di leggere ciò che avviene nella realtà: sotto casa, ma anche nel paese e nel mondo.
Il traino alle sole notizie di agenzia non paga: la radio e la tv diventano scontate e fotocopie di altri che hanno deciso e scritto. C'è, in termini espliciti, da recuperare il mestiere di giornalista, capace di andare a leggere il mondo e raccontarlo.
Infine i toni "apocalittici" ancora oggi troppo presenti, per ogni circostanza, sono artefatti, inutili e stantii. L'antidoto è forse un sano realismo, non esente da ironia e autoironia.
Considerare tutti imperatori e determinanti per le sorti del mondo è fuori da ogni ragionevole realtà ed esprime sudditanza più che creatività.
Sembrerà strano che il mondo della società civile, impegnato nella vita difficile del recupero e della marginalità, non chieda nulla di particolare. Non è strano perché sarebbe un pessimo servizio quello che riducesse il mondo all'attenzione dei soli bisogni.
I bisogni esistono, come esistono le risposte; esiste la marginalità, perché esiste la normalità; esistono le sconfitte, come le vittorie; il ridere come il piangere.
Ci aspettiamo dunque una tv intelligente e creativa: che faccia da specchio alla realtà, ma anche capace di prospettare futuro e soluzioni.
Probabilmente chiedendo poco, chiediamo troppo: è sempre in agguato il gioco di chi promette e mantiene per sé; dichiara attenzione, ma favorisce interessi e amici.
Non possiamo che essere attenti e, se la delusione fosse cocente, spegnere radio ...

07/01/02

Prostituzione e ipocrisia

Ritorna spesso in Italia la discussione sulla prostituzione: in genere quando qualcuno - questa volta il Presidente del Consiglio - protesta per le scene non edificanti sulle strade; qualche altra volta per le lamentele di abitanti di quartieri a rischio.
Le tesi contrapposte sono due.
La prima dice: sistemiamo, una volta per tutte, la storia della prostituzione. Considerato che la prostituzione in sé non è reato, tanto vale organizzarne l'esercizio. Case chiuse, cooperative, quartieri a luce rosse, vetrine ecc. diventano varianti della regolamentazione. Si tratterebbe, in ultima analisi, di trovare la forma più efficace per l'igiene, la sicurezza, la tranquillità sociale, il fisco, la lotta allo sfruttamento.
Esempi di organizzazione non mancano: Olanda, Germania non sono che spunti di un'unica soluzione. Lo stato interviene per i risvolti di ordine pubblico (tranquillità, igiene, tasse ecc.) considerando la prostituzione tra adulti un'attività lecita.
Una seconda ipotesi, molto minoritaria, dichiara che la prostituzione in sé è un mercato "turpe" e come tale va combattuto: non solo sul versante delle donne e uomini che si prostituiscono, ma anche sul versante dei clienti. Un mercato "turpe" non può essere regolamentato, ma semplicemente combattuto e represso.
In Italia sembra prevalente la prima tesi: tanto vale, con coraggio, assumersene le conseguenze e iniziare una ipotesi di regolamentazione. La soluzione però sembra troppo forte, perché regolamentare la prostituzione con una legge fa male a quel "senso comune del pudore" che non sappiamo se derivi dalla coscienza cattolica o semplicemente dalla cultura araba-mediterranea a forte tinte familistiche. La conseguenza è che la prostituzione è sparsa sul territorio nazionale, poggiando su variabili che sfuggono a qualsiasi logica.
Si assiste così alla contraddizione di un vasto permissivismo culturale e a repressioni per la tutela dei propri territori (si vedano le campagne, in genere estive, dei sindaci delle coste adriatiche) anche molto forti.
Personalmente siamo sostenitori della seconda ipotesi: la prostituzione va combattuta perché è uno scambio che non rispetta la dignità delle persone. Quella stessa dignità che impedisce altri contratti ritenuti "turpi": la bigamia, ad esempio, la compravendita di un bambino per una coppia sterile, la cessione di un organo a scopo lucrativo.
Il sospetto è che permanga, nella sottocultura che definisce la prostituzione l'arte "più antica del mondo", un forte contenuto possessivo, per cui il padrone (uomo in genere, ma recentemente anche donna) possa "comperare" molte cose: tra queste anche le prestazioni sessuali. E' forse questo il motivo che vede accomunate culture apparentemente contrapposte, ma che si riunificano nel comune denominatore dell'acquisto.
L'ipocrisia recente mette insieme sostegno alle famiglie regolari e regolamentazione della prostituzione, quasi a voler definire le regole morali del "benpensante" che ha una famiglia perfetta, ma a cui qualche passaggio dalla prostituta o dal femminiello fa bene alla salute.
La volgarità e l’ipocrisia non hanno più limiti.

31/10/01

Droga e slogan

Dopo le esternazioni di questi ultimi giorni, a proposito di droga, noi delle comunità dovremmo essere contenti. Le comunità saranno - secondo la linea del nuovo governo - più libere e tutelate; la guerra alla droga sarà più forte; la salvezza dei ragazzi più vicina.
Ma la "lotta" alla droga, che non inizia da domani, dovrà tener conto, di nodi che nei proclami recenti non hanno avuto spazio. Li ricordo per concretizzare, oltre gli slogan, una strategia efficace.
Il primo è la lotta al traffico di stupefacenti. Non è stato detto nulla di specifico a proposito: grave errore. L'ingresso dell'euro faciliterà purtroppo il riciclaggio di denaro sporco. I traffici illeciti giocheranno con le conversioni euro-dollaro, lasciando ancora meno tracce.
L’“afgano” (ottima eroina secondo i consumatori) presto invaderà tutti i mercati d'occidente, per sostenere la guerra dei talebani. La cocaina (il cui consumo è in crescita) è offerta sempre a minori costi.
Senza un'azione europea e mondiale, la "droga" continuerà a mietere vittime. Dopo Schengen i confini nazionali di fatto sono inesistenti: quale raccordo tra gli stati europei? E con quali risultati se già in alcuni paesi di fatto l'uso di droghe leggere (vedi Olanda, tra poco l'Inghilterra) non costituiscono più reato?
Il secondo nodo sono i consumi delle giovanissime generazioni. I ragazzi più giovani tendono a consumare di tutto: alcol, amfetamine, ecstasy, marijuana, hascish, cocaina. Rimanere fermi alla distinzione tra droghe leggere (da legittimare o proibire) e altre sostanze è un falso problema. La vera battaglia è disincentivare i consumi dannosi, senza distinzioni. La lotta al tabagismo, su scala mondiale, sta portando i suoi frutti: se non si fa altrettanto per le sostanze genericamente inebrianti, la partita è persa. Disincentivare i consumi inebrianti, però (si pensi alla pubblicità degli alcolici), pone gravissimi problemi di strategie "culturali" e commerciali.
Terzo serio problema sono i disturbi "psichiatrici" dei ragazzi tossicomani. Nelle comunità arrivano sempre più giovani che oltre ad essere dipendenti, mostrano veri e propri disturbi della psiche. I tecnici discutono sulla "doppia" diagnosi (da dipendenza e psichiatrica); il sospetto è che spesso i consumi di droga servano a lenire le sofferenze personali con un automedicamento. Se così fosse, le strategie di recupero si fanno ancora più complesse e difficili.
La discussione di questi giorni si è tutta concentrata su comunità sì e servizi pubblici no. E' evidente che l'attenzione, scegliendo in così tanti interlocutori e palcoscenici inadeguati, anche se amici, si è così svilita a piccola esternazione di "politica interna".
Le proposte sono di altra portata e gli impegni ben più vasti e seri. Tra queste ricordiamo:
- strategie di lotta al traffico, in ambito nazionale, europeo e internazionale;
- raccordo tra le legislazioni europee per la disincentivazione ai consumi di sostanze nocive;
- politica organica propositiva "giovanile", senza appelli patetici e generici alle famiglie e alla scuola;
- ricomprensione dei modi di consumo e di conseguenza delle risposte dei servizi.
I ragazzi tossici in Italia sono valutati in 300.000; 145.000 sono in carico ai servizi pubblici, di cui quasi 90.000 hanno più di 30 anni; 19.000 sono in carico alle comunità.
Discuterne nella trasmissione del buon Vespa, è inutile e inopportuno.

12/10/01

I cattolici e la guerra

Infuria la polemica - si fa per dire - sul pacifismo cattolico, dopo l’annuncio della guerra da parte di Bush contro il terrorismo, con riferimenti, per l’Italia, alla partecipazione di ieri dei cattolici al G8 di Genova e alla marcia della Pace di Assisi, appena domani.
La risposta cattolica, per la tradizione, per i martiri dei secoli e soprattutto per il Vangelo è la presa in carico del male e quindi il perdono.
Nessuna vendetta, ritorsione, difesa sono possibili se si segue il fondatore del cristianesimo, morto ingiustamente, senza difese.
Il riferimento al Dio cristiano misericordioso non può essere relegato a scelte opzionali e personali. Ogni qual volta qualcuno procura il male, la strada evangelica è: parlagli, confrontalo nella comunità, allontana da te il male, ma a nessuno è permesso di esprimere giudizi e tanto meno disporre della vita del nemico.
Sappiamo bene che storicamente non sempre è stata seguita questa strada.
Si è fatto appello a mille ragioni che hanno permesso agli stati cristiani, di fare “guerre” giuste e anche ingiuste.
La drammaticità degli ultimi avvenimenti pone, ancora una volta, la domanda.
Ancora oggi cristianamente la risposta è la stessa: nessun missionario perseguitato o a rischio di vita si è mai sognato di armarsi, di difendersi, di aggredire e annientare il nemico. Il missionario martire ha cercato semplicemente di essere evangelico e per questo spesso è dichiarato “santo”.
Questa posizione, che può sembrare radicale, in realtà è la sola posizione teologicamente corretta.
Diverse sono le considerazioni “politiche” che un popolo o un gruppo di popoli può fare di fronte ai propri nemici. In questo caso sono altri i principi morali – che pure debbono esistere – che debbono dirigere le azioni di uno stato di fronte alle aggressioni.
Se in queste considerazioni si inserisce il cattolico, la sua presa di posizione è quella appena espressa. Può essere giudicata come vigliacca, utopistica, inconcludente e con mille altre definizione, ma quella è e quella rimane.
Ogni qual volta il cattolico piega il suo credo a considerazioni “umane” tradisce la sua fede e il suo credo.
Il credo cattolico non è manipolabile, perché fa riferimento a Dio che solo dispone del bene e del male.
Chi tentasse di coinvolgere in considerazioni “umane” il credo cattolico, fa un brutto servizio a se stesso e al cattolicesimo.
Forse è arrivato il momento, anche in Italia, di rispettare posizioni che possono non essere condivisibili, ma è cosa peggiore, per piccoli calcoli contingenti, piegare fedi e sconvolgerle.
Ma probabilmente, in questa manipolazione, risiede la radice della debolezza del cattolicesimo occidentale di fronte ad altri fedi “nemiche”.
A Genova ieri, ad Assisi domani i cattolici sono chiamati ad una radicalità senza eccezioni, noncuranti che altri giudichino diversamente e agiscano in modo difforme: nessuno infatti oggi pensa che in Italia o in Europa uno Stato debba dichiararsi “cattolico”.

12/09/01

“Shahid”

Nella tragedia dell'attentato d'America, è difficile accumulare alle migliaia di vittime innocenti, coloro che hanno procurato fisicamente l'ecatombe.
Li chiamano "shahid"; sembra che li addestrino fin da ragazzi a morire per la causa. Sono numerosi se in Palestina prima e ora in America, sono capaci di decretare la propria e l'altrui morte, in un sacrificio totale per la causa. Sono protetti e circondati dall'affetto dei loro cari.
In tutto l'occidente non si troverebbero cinquanta persone dedite alla morte per nessuna nobile causa e per nessun prezzo.
Eppure i dirottatori, con le loro crudeltà, non si sono tirati indietro di fronte alla loro stessa morte sicura.
Il fenomeno del terrorismo arabo non si riduce dunque solo alla dimensione politica di popoli che si sentono oppressi, ma ha radici talmente profonde da impressionare la mente e il sentire della cultura occidentale.
E' la prima riflessione da fare di fronte alla tragedia dell'America: è in atto uno scontro di culture, prima che di diritti. Per questo la lotta al terrorismo non può ridursi solo a percorsi di polizia internazionale. Occorre capire che cosa sta avvenendo: cosa ancor più difficile, non essendoci "pentiti o traditori" che rivelino logiche e percorsi.
Nella fase attuale non si riesce nemmeno a comprendere se gli atti terroristici sono solo "rivendicazioni", anche se violente e crudeli, di ingiustizie subite, vere o presunte, o se invece fanno parte di quella "guerra santa" contro l'odiato occidente.
In questa seconda ipotesi la sfida sarebbe veramente mortale: ne andrebbe la sopravvivenza dell'occidente o della cultura araba.
Soltanto gli stessi arabi, con i loro valori e la salvaguardia della loro cultura, possono guidarci nella comprensione.
Per questo è necessaria l'apertura dell'occidente per il loro rispetto, riflettendo sulle proprie responsabilità, ma i più saggi e prudenti arabi debbono farci comprendere che cosa effettivamente stia avvenendo.
Sembra un assurdo: ma proprio dopo l'attentato in America, con migliaia di morti, è necessario il dialogo. Se questo non avvenisse, la spirale della violenza avrebbe il sopravvento. Ma la violenza che deriva da motivazioni di fede è difficile da fermare, perché ha, dalla sua parte, la pretesa della verità. Crea martiri e con i martiri aumentano l'adesione e la forza alle proprie idee.

05/09/01

Il “movimento” è già frantumato

A oltre un mese dai fatti del G8 è tempo di verifica all'interno del movimento anti global.
L'attenzione è stata posta sulla violenza dei fatti di Genova. La questione non è solo questa. Stanno emergendo, con tutte le loro diversità, le anime che hanno permesso quell'evento.
In quel movimento hanno confluito tre anime, tre modi di fare "contestazione".
La prima è quella violenta delle tute nere. Con questa parte del movimento non è possibile il dialogo: hanno fatto della violenza il loro modo di "essere"; non sappiamo se è un modo di fare politica o semplicemente un modo di esprimersi. Alcuni tratti dicono che non si distinguono dagli ultras degli stadi o dai naziskin. Esprimono disagio, esplodendo in violenza sistematica, senza ricerca di dialogo e di mediazione.
La seconda anima è quella "politica": dalle tute bianche ai movimentisti.
L'oggetto della contestazione è il sistema politico dei governi occidentali. I soggetti e l'oggetto della contestazione sono loro stessi. Si pongono come interlocutori delle istituzioni che rifiutano, con i loro contenuti politici. Chiedono di diventare parte sociale e si contrappongono ai sistemi vigenti. Fanno politica, in quanto vogliono rappresentare una forza politica diversa da quelle esistenti. Genova, la Fao, la Nato sono occasione di una ipotesi politica da contestare, in Italia e in Europa.
Per istinto lo ha capito il governo in carica che concede dialogo solo per limitare l'ipotesi violenza, ma non è disposto a nessuna concessione sul piano dei contenuti, in quanto il movimento è un vero e proprio "nemico politico".
La terza anima è quella cattolica: aveva aderito a Genova perché ai movimenti cattolici interessava far emergere le "contraddizioni" planetarie: il debito, la fame, la salute, la giustizia. La loro presenza a Genova era possibile in quanto occasione di sensibilizzazione e di cambiamento per i problemi dei popoli.
I nodi delle diversità sono esplosi. Il movimento perderà la componente cattolica, in quanto non interessata alla costituzione di un movimento politico, oggetto delle attenzioni dei centri sociali e della sinistra movimentista. La fame nel mondo o la vendita delle armi per i movimenti cattolici, non può essere ridotta alla costituzione di "nuovi" equilibri politici all'interno dei sistemi occidentali.
Non solo: i movimenti cattolici vanno alla ricerca del cambiamento delle coscienze, quale premessa di proposta alternativa. Non entrano direttamente nell'agone della politica, con strumenti di lotta politica.
A tutt'oggi non si vedono spiragli di soluzione: il movimento continuerà sulla sua strada politica; la componente cattolica ritornerà alla sua opera di sensibilizzazione delle coscienze.
Il dialogo andrà avanti stancamente, tutti nel dichiarare che ogni cambiamento esige adesione profonda delle coscienze e strumenti di lotta politica adeguati, ma la frattura del movimento è seria.

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