A pochi giorni dalla chiusura del Convegno di tutta la Chiesa italiana a Verona, l’appuntamento chiamato a tracciare le linee di azione della chiesa cattolica per i prossimi dieci anni, dopo quelli di Roma (1976), di Loreto (1985) e di Palermo (1995) è utile rileggere gli interventi di Benedetto XVI, del card. Tettamanzi, Arcivescovo di Milano (relazione introduttiva) e del card. Ruini, Vicario di Roma (relazione conclusiva) per comprendere i punti forti e quelli fragili di una prospettiva che ha al centro dell’interesse la sfida del cattolicesimo con la modernità. Al di là dei modi di porre la questione, in attesa delle conclusioni “ufficiali” che la Conferenza episcopale italiana si riserva di trarre tra qualche mese, tutte e tre le relazioni hanno riassunto nella questione “antropologica” la sostanza di questa sfida. Per questione antropologica si intende la trasformazione – come ha spiegato il card. Tettamanzi – che la cultura moderna ha sulla visione della vita e sull’esperienza odierna dell’uomo (un tempo cristiana). Trasformazione non solo diretta alla cultura “alta”, ma alla cultura che contagia e modula ogni persona.
Le radici del cambiamento sono da addebitare, secondo Benedetto XVI, a una nuova ondata di “illuminismo e laicismo, per la quale sarebbe razionalmente valido soltanto ciò che è sperimentabile e calcolabile, mentre, sul piano della prassi, la libertà individuale viene eretta a valore fondamentale al qual tutti gli altri dovrebbero sottostare”.
A questa sfida le tre relazioni rispondono proponendo il modo di essere cristiani: l’essere testimoni della speranza. Per la fede che vivono “rendano Dio credibile”, per ricordare un’espressione di Benedetto XVI.
Ne consegue che il cristiano non può, né deve nascondersi, ma impegnare il suo pensiero e il suo modo di vivere perché la missione della Chiesa produca un “determinante influsso positivo sulla vita della società” (card. Ruini).
Il cristianesimo dei prossimi anni deve ritrovare, secondo le parole del Papa, nella santità, la forza di risposta alla sfida moderna. Il punto di forza di questa visione è l’appello alle radici più profonde della fede: “ripetere “quel grande “sì” che in Gesù Cristo Dio ha detto all’uomo e alla sua vita, all’amore umano, alla nostra libertà e alla nostra cultura”, auspicando che l’azione della chiesa non sia mai un adattarsi alle culture, ma “purificazione”, “taglio coraggioso che diviene maturazione e risanamento”.
Le tre relazioni fondano dunque la possibilità della risposta di fede a motivazioni tutte interne. Indicano anche gli ambiti di questo intervento. Praticamente tutta la vita personale e sociale; Benedetto XVI ne fa un breve elenco: le guerre e il terrorismo, la fame e la sete, alcune terribili epidemie. Il Papa avverte inoltre il rischio di scelte politiche e legislative che contraddicono fondamentali principi antropologici ed etici