La vittoria ampia della Cdl ha mostrato chiaramente che il programma del centro-destra è stato accolto come il migliore possibile per il futuro d'Italia. Invocare personalismi, televisioni, campagne pubblicitarie non ha grande senso. E' vero che sono state determinanti per la vittoria, ma tutti gli strumenti usati sono stati utilizzati per dei contenuti che, sostanzialmente, tendevano a tutelare i ceti benestanti d'Italia. Al sogno del benessere hanno creduto anche coloro che certamente non erano e non sono in condizione di benessere.
E' un meccanismo molto antico - i poveri credono ai ricchi - che ha funzionato in Italia, ma che funziona anche in altre parti del mondo.
A partire da questa vittoria, a tutte le organizzazioni di non profit restano due strade. La prima - già esplicitata da alcuni in questi primi momenti – è quella di strappare qualche concessione al futuro governo. Dichiarare che si aspettano le cose da fare è inutile. Il centro destra ha detto che cosa farà: in questo futuro le fasce marginali della popolazione non hanno spazio, perché sono ritenute irrilevanti e alcune anche pericolose. Per sè, in quanto non esprimono risorse, per gli altri in quanto costituiscono solo problema.
Aspettare significa, in questo caso, solo chiedere qualche piccola-grande concessione per la propria sopravvivenza.
E non è escluso che il centro destra non la conceda. Ma per chi opera nel sociale ciò non può essere sufficiente: per il semplice fatto che si autorizza una specie di assistenzialismo di ritorno che porta dalla parte opposta del richiedere il rispetto dei diritti.
Avevamo già detto che in questa campagna elettorale, i soggetti marginali non erano stati protagonisti, ma nemmeno "oggetto" di attenzione. La vittoria della Cdl conferma quel giudizio e mette la parola fine ad ogni illusione.
Rimane dunque una seconda strada: quella di riprendere in mano i contenuti e l'esigibilità dei diritti sociali e, proprio in virtù del clima generale, non mollare la presa.
Molto prima di quanto si immagini, si capirà quali sono gli interessi" del ceto medio; occorrerà non far dimenticare i diritti di tutti i cittadini.
Da qui la riflessione e l'impegno serio, apparentemente sterile, ma indispensabile, perché i soggetti deboli non siano abbandonati alla deriva.
Un impegno duro e severo: per rivedere la propria storia, per seguire l'andamento delle vicende politiche e sociali, per ridestare la coscienza critica e vigile di quella parte della popolazione che crede ancora al sogno dell'uguaglianza e delle pari opportunità.
15/05/01
07/05/01
Elezioni: poveri e irrilevanti
Pur nella vivace campagna elettorale, salta all'occhio "lo stile comune" che i due poli, insieme agli schieramenti minori, hanno assunto nei confronti degli elettori, con i linguaggi usati e i programmi proposti.
Come interlocutori sono scomparse tutte quelle persone che, per situazione, condizione sociale, cultura, sono "poveri"; con linguaggio internazionale, potrebbero essere individuate come "popolazione vulnerabile": donne, gente del sud, famiglie povere, pensionati, malati, categorie a rischio, stranieri.
Non sono stati considerati "soggetti", ma nemmeno "oggetti" di attenzione.
Eppure sono milioni e milioni di persone: oltre sette milioni di poveri censiti; due milioni e mezzo di disabili; 600 mila malati di mente; un milione e mezzo di stranieri; oltre mezzo milione di malati cronici seri; 600 mila lavoratori precari.
L'attenzione nei loro confronti, pure presente con qualche accenno nei programmi (Legge Tremonti del sociale per il Polo delle Libertà; welfare state per l'Ulivo) fa emergere l'irrilevanza degli interventi stessi rispetto alle grandi politiche necessarie al paese. Non fanno parte nemmeno della categoria degli “indecisi”, alla quale spasmodicamente le forze politiche dicono di rivolgersi.
Al di là del dispiacere di simile atteggiamento, la preoccupazione diventa grande per una svolta epocale nella vita politica della nostra Italia: il consenso sembra essere riservato a un numero ristretto, sempre più ristretto di persone: il dubbio è che stiamo ritornando al voto per "censo". Un censo che non è solo economico, come nell'Ottocento, ma anche culturale, di stili di vita e di relazione.
Se questa tendenza si rafforzerà, due sono le conseguenze: la prima che i vincitori risponderanno ad un "solo" tipo di elettore, quello appunto che hanno scelto come interlocutore adeguato; la seconda è che esisterà una popolazione marginale nemmeno degna di attenzione: costoro avranno diritto solo alla sopravvivenza silenziosa, senza diritti e senza soggettività civile.
La riprova di questa tendenza è nello stesso atteggiamento che hanno assunto i grandi mondi del volontariato, del privato sociale, di quanti fanno da cerniera tra la povertà e la normalità.
Silenziosi e acquattati, in attesa dei vincitori, senza più la forza e il coraggio di rivendicare rispetto e dignità per tutti, pronti a girare per sé eventuali benefici di legge.
Non si tratta - come è facile immaginare - di tutelare ancora qualche categoria svantaggiata, ma di sapere qual è l'impalcatura dei rapporti tra le persone in un paese civile.
I modelli proposti dai due poli sono certamente molto diversi: il primo ha tutte le caratteristiche dell'onnipotenza del denaro, del potere, dell'immagine; il secondo è più attento alla socialità e all'uguaglianza. Il limite invalicabile rimane il rispetto di tutti, senza altra considerazione. Rinunciare, in politica, a questo principio significa ritornare indietro, terribilmente indietro.
Come interlocutori sono scomparse tutte quelle persone che, per situazione, condizione sociale, cultura, sono "poveri"; con linguaggio internazionale, potrebbero essere individuate come "popolazione vulnerabile": donne, gente del sud, famiglie povere, pensionati, malati, categorie a rischio, stranieri.
Non sono stati considerati "soggetti", ma nemmeno "oggetti" di attenzione.
Eppure sono milioni e milioni di persone: oltre sette milioni di poveri censiti; due milioni e mezzo di disabili; 600 mila malati di mente; un milione e mezzo di stranieri; oltre mezzo milione di malati cronici seri; 600 mila lavoratori precari.
L'attenzione nei loro confronti, pure presente con qualche accenno nei programmi (Legge Tremonti del sociale per il Polo delle Libertà; welfare state per l'Ulivo) fa emergere l'irrilevanza degli interventi stessi rispetto alle grandi politiche necessarie al paese. Non fanno parte nemmeno della categoria degli “indecisi”, alla quale spasmodicamente le forze politiche dicono di rivolgersi.
Al di là del dispiacere di simile atteggiamento, la preoccupazione diventa grande per una svolta epocale nella vita politica della nostra Italia: il consenso sembra essere riservato a un numero ristretto, sempre più ristretto di persone: il dubbio è che stiamo ritornando al voto per "censo". Un censo che non è solo economico, come nell'Ottocento, ma anche culturale, di stili di vita e di relazione.
Se questa tendenza si rafforzerà, due sono le conseguenze: la prima che i vincitori risponderanno ad un "solo" tipo di elettore, quello appunto che hanno scelto come interlocutore adeguato; la seconda è che esisterà una popolazione marginale nemmeno degna di attenzione: costoro avranno diritto solo alla sopravvivenza silenziosa, senza diritti e senza soggettività civile.
La riprova di questa tendenza è nello stesso atteggiamento che hanno assunto i grandi mondi del volontariato, del privato sociale, di quanti fanno da cerniera tra la povertà e la normalità.
Silenziosi e acquattati, in attesa dei vincitori, senza più la forza e il coraggio di rivendicare rispetto e dignità per tutti, pronti a girare per sé eventuali benefici di legge.
Non si tratta - come è facile immaginare - di tutelare ancora qualche categoria svantaggiata, ma di sapere qual è l'impalcatura dei rapporti tra le persone in un paese civile.
I modelli proposti dai due poli sono certamente molto diversi: il primo ha tutte le caratteristiche dell'onnipotenza del denaro, del potere, dell'immagine; il secondo è più attento alla socialità e all'uguaglianza. Il limite invalicabile rimane il rispetto di tutti, senza altra considerazione. Rinunciare, in politica, a questo principio significa ritornare indietro, terribilmente indietro.
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