17/11/08

Diritto di vivere, diritto di morire

Le vicende che riguardano Eluana, la ragazza in coma permanente, come la vicenda di Welby ieri, pongono problemi forti alle coscienze. Le tesi sembrano contrapposte: la prima, sostenuta dalla Chiesa cattolica, afferma che non bisogna interrompere la nutrizione necessaria alla sopravvivenza, la seconda ne chiede l'interruzione perché così ha voluto la ragazza, quando era sana, non volendo sopravvivere a una vita vegetativa. Da qui la discussione sulla opportunità del testamento biologico e in prospettiva sull'eutanasia.
Sembrano, all’apparenza tesi opposte, perché la prima insisterebbe per una vita, comunque vissuta, la seconda per

03/09/08

Il voto agli immigrati

La proposta dell'on. Veltroni per il diritto al voto degli immigrati è ragionevole e giusta. Sono milioni oramai le persone straniere che vivono da molto tempo in Italia, lavorando, vivendo nelle città con le proprie famiglie, mandando i figli a scuola, contribuendo allo sviluppo economico del paese.
Come sempre la politica sembra (o vuole) essere in ritardo: non si sa bene se per presa di posizione ideologica, per interesse, per miopia.
La tutela dei diritti dei cittadini è stata la spina dorsale che ha portato democrazia in Italia dal dopoguerra: spesso

02/09/08

In attesa di una vera riforma

Riflessioni sul Libro verde sul futuro del modello sociale - "La vita buona nella società attiva”

La recente presentazione del Libro verde del Ministro Sacconi permette a quanti si occupano di sociale di contribuire alla riflessione sul welfare in Italia, bisognoso indubbiamente di essere rivisitato. In realtà le 24 pagine presentate, quasi come riassunto di quella che sarà la vera e propria proposta, non permettono più di tanto di interloquire.
Lo scritto presentato infatti fa intravedere ciò che sarà, non già ciò che è stato deciso magari in parte sul futuro del welfare. Le domande che intervallano il testo fanno presagire linee, non precisi orientamenti. Il quadro di insieme vuole affrontare il welfare nella sua complessità, mettendo in relazione i tre grandi capitoli della spesa sociale: la previdenza, la sanità, l'assistenza, non dimenticando il capitolo lavoro. E ciò è indubbiamente positivo.

Rimaneggiando il materiale presentato - per la verità non proprio organico - sono, a nostro parere, tre le grandi questioni che il tema welfare deve saper affrontare.

La povertà
Nel testo è stato ricordato il tema della povertà, non collegandolo al sistema pensionistico. Eppure è cosa arcinota che la spesa previdenziale (molto alta in Italia) ha la funzione di protezione sociale, non soltanto per chi ha lavorato, ma per chi ha bisogno di sostegno economico (pensioni sociali, assegno di accompagnamento etc), perché riduce la povertà. Le false pensioni sono una risposta impropria, ma necessaria, all"indigenza.
La riforma del sistema pensionistico dunque non può dimenticare i 10 milioni di persone povere (anziani soli, famiglie numerose, famiglie monoreddito…) che oramai da una diecina d'anni l"Istat regolarmente ricorda.
La strada è duplice: continuare a far passare da pensioni ciò che pensione non è, oppure introdurre un vero e proprio sostegno contro l’indigenza. C’è stato un timido esperimento per il reddito minimo, ma sostanzialmente le cose sono rimaste com’erano.
E’ opportuno distinguere nel futuro - per chiarezza, ma anche per dignità - il reddito da lavoro dal sostegno contro l’indigenza. I problemi nella nostra Italia si complicano per l’incertezza dell’accertamento dei redditi. E’ possibile però individuare criteri oggettivi per determinare l’eventuale intervento integrativo capace di sottrarre dalla povertà i singoli e le famiglie. Le due Italie (nord, sud – ricchi, poveri – tutelati, scoperti) altrimenti continueranno a convivere con l’aggravante della confusione, dell’arrangiamento, della sopravvivenza.

Le famiglie
La famiglia viene ricordata nel testo presentato almeno per tre motivi: per l’invecchiamento della popolazione, per la scarsa fertilità della famiglia italiana, per la necessità della sua presenza in un welfare sostenibile.
Il problema dell’invecchiamento della popolazione non è dato dall’attesa di vita, che fortunatamente nel tempo si prolunga, ma dalla quota percentuale che la popolazione anziana rappresenta rispetto alla globalità degli abitanti.
Il problema ha due soluzioni: importare sempre più immigrati che esprimono un tasso maggiore di fertilità (come oggi accade) oppure sostenere la natalità delle famiglie italiane. Oramai infinite volte il tema è stato ripreso e discusso, ma le risposte continuano a essere scarse e incerte. Gli incentivi alla natalità non sono sufficienti; la vicina Francia ha dimostrato che, anche nel breve tempo, la tendenza può essere invertita. La discussione non può protrarsi inutilmente: se non si inverte la rotta, il "meticciato” sarà sempre più alto, come forte sarà la percentuale degli anziani, con le conseguenze facilmente prevedibili di difficile sostenibilità nella sanità, nell’assistenza e nella
previdenza.
Il tema della famiglia in Italia è scioccamente ancorato all’ideologia, non volendo capire che si tratta di problema strutturale demografico. Una popolazione troppo vecchia diventa rapidamente debole e povera, incapace di garantire futuro ai propri cittadini.

Il lavoro
Il testo insiste sul lavoro, soprattutto per i più giovani, collegandolo al tema della formazione.
Ai temi della flessibilità, delle transizioni professionali, del collocamento e del lavoro è data eccessiva enfasi. I dati economici dicono che la crescita dell’economia è ferma. In un mercato delle offerte di lavoro scarso e asfittico la discussione sulla necessaria deregolazione rischia di diventare un discorso accademico.
L’Italia si sta impoverendo: nella prospettiva ampiamente documentata di scarsa fiducia sul futuro economico con la conseguente stagnazione della manodopera, l’ingresso veloce dei giovani al lavoro diventa chimera. La ripresa economica diventa la prima urgenza anche in relazione al welfare, a cui dovrebbe far seguito, con un po’ di coraggio, l’abbattimento di privilegi di posizioni occupazionali, onde permettere un turnover più equo e più rapido.

I modi e le circostanze del welfare
Il testo fa brevi cenni ai temi della sussidiarietà, delle tecnologie, del federalismo fiscale. Sono riflessioni che possono risultare utili se vanno ad accrescere equità ed efficienza a una impostazione solida di welfare. Diventano pericolose se tentano di aggirare i problemi seri di un welfare efficace.
Troppo spesso si ricorre a scorciatoie che sono tali solo apparentemente: il rischio evidente è quello di voler riportare a equilibrio misure che di per sé mai lo porteranno. Si pensi all’apporto della solidarietà dei privati. Può essere un contributo di eccellenza: la base di risposta sociale non può risiedere sulle speranze della contribuzione privata. Già oggi i singoli e le famiglie intervengono con propri mezzi (si pensi al sostegno delle badanti) per completare un welfare pieno di vuoti e di omissioni.

I silenzi
Nulla è detto sulle mediazioni delle prestazioni sociali: gli enti, gli addetti, le professionalità, l’organizzazione sul territorio.
Anche se le mediazioni non sono il cuore della riforma del welfare, è pur vero che non ne può prescindere. A livello nazionale, ma soprattutto a livello locale. Se il sistema previdenziale è omogeneo sul territorio nazionale, non così avviene per la sanità, per l’assistenza, per il mercato del lavoro. Il sociale è purtroppo ancora legato all’opzionale: nei settori di intervento e sulle modalità/qualità dei servizi, nonostante gli sforzi di omogeneizzazione sul territorio: si pensi alla legge 328.
Nulla inoltre si dice sulla tendenza, tutta recente, di uno sviluppo esasperato dei livelli professionali che comportano maggiori risorse. In questo processo si inseriscono due elementi scarsamente considerati: la disoccupazione intellettuale; la managerializzazione del sociale. Numeri eccessivi di psicologi, laureati in scienze dell’educazione, responsabili di comunità premono per l’occupazione: la conseguenza è l’allungamento della catena del sociale, con il rischio di maggiori costi e minore efficacia. Ancora più grave la sterilizzazione della relazione sociale, elemento indispensabile nei servizi che riguardano la persona.

La sostenibilità economica
Discorso a parte merita la riflessione sulla sostenibilità economica.
Una serie di elementi (l’invecchiamento della popolazione, la progressiva spesa sanitaria, gli interventi di sopravvivenza in situazioni a rischio) debbono far riflettere seriamente sulla sostenibilità economica di un ripensamento del welfare che non sia solo slogan.
Tre elementi possono contribuire ad attenuare l’impatto della spesa sociale. Con garanzia di minore spesa e di maggiore efficacia.
La personalizzazione dell’intervento sociale. Esaminare le singole situazioni permette di capire quali sono gli strumenti migliori di vivibilità. Generalizzare gli interventi crea sprechi e sicuramente non ottimizza la risposta. Ogni singola situazione va esaminata e non necessariamente esige risposte economiche.
Il secondo termine di risparmio è quello di aiutare le famiglie: non c’è paragone (anche economico) tra una soluzione familiare e una esterna sociale. Con la prima si equilibrano risposte sociali e relazionali; con la seconda si spende di più e non necessariamente si qualifica la risposta.
Il terzo elemento di possibile equilibrio economico è dato dall’aggregazione in piccoli gruppi. Collocati nel territorio, a diretto contatto con le famiglie, eccellenti in qualità e rispetto. Là dove la famiglia non esiste o non è in grado di risolvere i problemi sociali, la piccola comunità può essere un valido strumento di risposta.

In attesa
L’attenzione per una riflessione seria e motivata per la riforma del welfare da parte di gruppi del privato sociale è alta.
L’attesa è che si tratti di una vera riforma e non soltanto di considerazioni sociali, ma soprattutto che abbia la capacità di proseguire il cammino di risposte alle fasce deboli della popolazione, nel rispetto della dignità delle persone e delle loro storie.
Il proclama del testo che afferma che la spesa sociale “va governata e riorientata in modo da rendere il sistema non solo finanziariamente sostenibile, ma anche più equo ed efficiente perché realmente in grado di incoraggiare la natalità, abbattere le barriere, facilitare la mobilità, combattere le discriminazioni, prevenire i bisogni, contrastare la povertà”, è condivisibile.

07/08/08

I sindaci sceriffi e il tritacarne delle ordinanze

Dopo il decreto sulla sicurezza del Ministro Maroni, si è scatenata una gara tra sindaci per chi conquista il palmares del sindaco più "sceriffo”. Nel recente tritacarne delle ordinanze c'è di tutto: prostituzione, spaccio, accattonaggio, vagabondaggio, rovistaggio, rimessaggio, vendite abusive.
Il tutto senza un euro: anzi, la speranza è di incassare, elevando multe a clienti e fornitori, spendendo il meno possibile (qualche assunzione di vigile urbano).
Mai una riflessione seria tra sindaci di illustri capoluoghi, oggi attenti al “decoro” della città, per chiedersi che cose

27/06/08

La boutade sui bambini rom

L'ipotesi preannunciata recentemente sulla schedatura dei bambini rom fino alla decadenza della patria potestà, per "poterli salvare”, è una semplice boutade. Ignora completamente quel mondo, i legami che tengono insieme le famiglie, la loro cultura e i loro usi.
Per chi ha avuto affidati bambini rom sorpresi dalle polizie municipali e affidati dai Tribunali dei minorenni alle comunità di accoglienza ha dovuto arrendersi. Al massimo quei bambini resistevano nella struttura una notte. All'alba - non si sa con quali strumenti e quali tam tam – quei bambini ricontattavano la famiglia e sparivano.

15/05/08

Io sto con i cani e gli infedeli

E' una gara di provvedimenti, di incontri, di interviste per dichiarare che il "problema” della sicurezza in Italia sono gli zingari e i clandestini. Alle parole seguiranno i fatti promettono ministri, sindaci, amministratori, intervistati.
Novelli sacerdoti della purezza del tempio (l"Italia) si impegneranno alla lotta senza quartiere contro i cani (gli zingari) e gli infedeli (i clandestini). Quando le misure saranno applicate, sono sicuri che la purezza del tempio della nazione ritornerà a risplendere, il male scomparirà e la pace sociale regnerà per sempre. Nel frattempo pensa il popolo a incendiare baracche e a mettere in fuga gli indesiderati.
Dichiaro pubblicamente di essere dalla parte degli zingari, nonostante siano fannulloni, ladri, imbroglioni, puzzolenti, sfruttatori di bambini. E dalla parte dei clandestini, perché sono soli, poveri, sbandati, delinquenti. I motivi sono semplici:
- perché i delitti e il crimine non hanno nazionalità;
- perché sono spesso maltrattati e perseguitati nei loro paesi;
- perché nessuno li vuole;
- perché non voglio essere annoverato tra gli Einsatzgruppen del terzo millennio;
- per riparare alla compravendita di sesso di donne e di minori da parte di nostri connazionali all’estero;
- perché anche i veri cani randagi hanno garantito un rifugio;
- perché sono creature umane;
- perché i loro bimbi hanno diritto al futuro come i nostri;
- perché lenire le loro sofferenze è un dovere umanitario;
- perché 70 mila zingari sono italiani;
- perché è possibile lavorare con loro;
- perché è possibile la convivenza umana;

Così han fatto Cristo con i ladroni e San Francesco con il lebbroso.

21/04/08

Falsi censori

Lo stupro che ha subito la ragazza del Lesotho alla periferia di Roma è particolarmente impressionante per molti motivi: per il luogo deserto e buio, alla periferia di Roma, perché a subirlo è stata una donna indifesa, come la signora Reggiani, uccisa qualche mese fa in circostanze simili, perché il delitto è stato commesso da un rumeno clandestino.
Nel ballottaggio per il Sindaco di Roma, appena concluse le votazioni politiche, questo crimine assume il valore simbolico della "sicurezza” delle nostre città.
Da qui le invocazioni alla “tolleranza zero”, a misure severe, a riempire di nuovo le carceri, contro ogni buonismo e sopportazione, come ha dichiarato qualche esponente politico.
Fuori dalle emozioni, il crimine de “La Storta” a Roma spinge a riflessioni serie.
L'episodio fa emergere tre grandi ambiguità: la prima sulla violenza sessuale, la seconda sull"immigrazione clandestina, la terza sulla certezza della pena.
Ambiguità con le quali la nostra cultura (e la nostra politica) convivono tranquillamente.
Di fronte ai clamori per la ragazza aggredita e violentata, nessun allarme per il 69% degli stupri che avvengono tra le mura domestiche. Un dato tenuto nascosto perché farebbe scoprire la violenza dei maschi prima italiani e poi stranieri. Forse anche nel nostro civilissimo paese andrebbe attivata la cultura del rispetto e della pari dignità. I delitti eccellenti di Chiavenna, di Garlasco, di Erba, di Perugia non avevano origine clandestina, né sono stati commessi in periferie urbane degradate.
La seconda ambiguità riguarda l’immigrazione clandestina. La nostra politica accetta tranquillamente la clandestinità quando è utile (badanti, lavoratori in edilizia, in agricoltura, nel settore alberghiero, in quello marittimo) perché fa risparmiare; invoca leggi severe quando è delinquenziale. Sarebbe utile sapere qual è la linea scelta, senza ammiccamenti e tolleranze, determinate da convenienze.
Infine la certezza della pena. Nel nostro paese non c’è certezza della legge, figurarsi della pena. Il garantismo contro cui, in circostanze delittuose, molti si scagliano è servito a molti cittadini, anche “eccellenti”, a non subire condanne; fa parte del nostro bagaglio giuridico la prescrizione, ultima spiaggia per non subire condanne. Che in questo pressappochismo voluto abbia buon gioco la delinquenza non è di difficile immaginazione. Ma l’incertezza della pena non è stata inventata per stranieri, ma per italiani.
Il livello di rispetto della convivenza nel nostro paese è basso: rafforzarlo significa diventare più coerenti, senza appelli roboanti e falsamente moralistici perché inversamente proporzionali a garantire sicurezza.
Fuor di luogo dunque sono le promesse di giro di vite e gli appelli apocalittici. La cultura della legalità è una cosa seria: vale per tutti e sempre. Sono necessarie politiche di integrazione, di rispetto e di efficienza. Vere e non annunciate; sostenute con risorse e non da invocazioni; equilibrate e non discriminanti.

15/04/08

Tra aziende sociali ed esercito della salvezza

A risultati elettorali acquisiti è utile offrire, dal versante delle fasce di popolazione più svantaggiate, alcune considerazioni. La prima è che la popolazione precaria (poveri, anziani, immigrati) non ha avuto interlocutori. Nel dibattito prima delle votazioni è sembrato che qualche milione di persone, con i relativi problemi, non esistesse. I voti espressi hanno dimostrato che l'attenzione a costoro è un non problema per il futuro. Nelle promesse elettorali non risultava una linea di tendenza di 'politica sociale"; i risultati elettorali hanno confermato disinteresse e noncuranza. Che avverrà dunque domani con queste premesse?
Prevediamo due risposte che sembrano lontane tra loro, ma unite da una stessa logica. Possiamo chiamarle: ‘aziende sociali’ ed ‘esercito della salvezza’.

Essendo scomparsa abbondantemente la filosofia della solidarietà (tra generazioni, tra territori, tra culture) saranno i prevalenti (cittadini a pieno titolo) a suggerire i contenuti, le modalità, le quantità di politica sociale per le fasce di popolazione marginale. Appellando arbitrariamente ai principi della sussidiarietà, cresceranno le "aziende sociali”: saranno loro affidati i servizi. Esse dovranno essere capaci di gestire il sociale come qualsiasi altro “affare” economico. Parteciperanno ai bandi offrendo, al minor costo possibile, i servizi che l’amministrazione pubblica chiederà loro. Una tendenza già ampiamente in atto nel nord d’Italia che sarà estesa nel resto del paese.
I motivi addotti saranno moltissimi, alcuni nobili, altri meno: la filosofia resta quella del rapporto economico del contratto. Che cosa serve, a chi e a quale prezzo sarà stabilito dal committente: alle “aziende sociali” la sola libertà di partecipare.
Se l’amministrazione pubblica non riuscirà a offrire risorse per il sociale, rimarrà la strada dell’”esercito della salvezza”: l’appello alla solidarietà personale e collettiva per sopperire ai problemi più urgenti e di primaria vitalità. Il 5 per mille, la raccolta fondi, le fondazioni si moltiplicheranno per drenare risorse. Ancora una volta l’elemosina ritorna con prepotenza nel welfare.
Questo scenario, per noi, è umiliante. Prima di tutto perché alcuni (i più bisognosi) non saranno più considerati soggetti portatori di dignità, ma solamente destinatari di aiuto. In secondo luogo perché coloro che dovranno offrire risposte saranno “mercenari”: non avranno voce per far emergere problemi, per essere coscienza critica, ma saranno ridotti a “operatori” ad appalto (e per giunta al ribasso).
Questa logica va combattuta. Anche in solitudine e anche di fronte al futuro incerto.
I valori della dignità, della solidarietà, della rimozione delle cause di disagio vanno mantenuti alti, anche se l’immediato futuro suggerirebbe di adeguarsi alle “nuove tendenze”. Una battaglia in solitudine, ma non per questo meno giusta.

17/03/08

Gli utili e gli inutili

La campagna elettorale in atto evidenzia il silenzio pressoché assoluto sui problemi della povertà in Italia e di conseguenza di coloro che se ne occupano, nonostante i numeri consistenti: volontariato, cooperazione sociale, nazionale e internazionale, servizio civile sembrano non esistere (non è un caso che nelle liste dei candidati non abbiano trovato posto persone proveniente da questo impegno). Nessun accenno a uno sviluppo che faccia appello alla solidarietà, all'equità, alla gratuità. Oltre la tristezza e la rabbia, è forse utile capire che cosa sta avvenendo.
Siamo al termine di una politica, iniziata negli anni "70, che pensava di risolvere, con investimenti e risorse aggiuntive, i temi forti del welfare: poveri, disabili, marginali, famiglie numerose. Progetti di socializzazione, di inserimento lavorativo, politiche di integrazione sono diventate oggi parole incomprensibili. Il cambio è epocale. Gli appelli dicono: far ripartire la macchina dei consumi; la povertà è un fenomeno endemico di ogni società. Inutile combatterla, meglio rafforzare chi è produttore e consumatore.
Nessuno dice quale sarà la conclusione di questa impostazione: poveri e deboli saranno affidati all’elemosina. Un richiamo antico, molto antico. Da una parte chi è utile, dall’altra chi è inutile. I primi hanno la dignità di cittadini, i secondi vivranno da assistiti. Gli Stati Uniti insegnano.
Il motivo che ha indotto a simili conclusioni è la spinta dei produttori/consumatori che non hanno sufficienti risorse. In uno schema di consumismo, la richiesta non distingue tra consumi essenziali e voluttuari. Occorrono sempre più risorse; da qui le promesse di politiche di sostegno economico e assistenziale, purché dirette alla produzione. In questo schema liberistico non c’è posto per i marginali, comunque essi siano e dovunque vivano.
Al nuovo schema non si oppongono voci critiche: non le imprese, non i sindacati, non la Chiesa. Il mondo delle imprese chiede agevolazioni a basso costo, quello dei lavoratori tutele, la Chiesa è tutta spostata sui temi della bioetica. I partiti rispondono con promesse ridicole: meno tasse, più servizi. Una contraddizione matematica non giustificabile nemmeno da bugie di campagna elettorale.
Siamo alla vigilia dell’esplosione economica: con la globalizzazione i termini dello sviluppo si sono accelerati, con popoli vecchi diventati incapaci a reggere processi economici consistenti. Stanno loro sfuggendo anche le risorse di cui erano assoluti possessori fino a ieri: la finanza e la tecnologia. Nonostante questo, nessuno che ripensi lo schema economico di base. Nessuno che consideri come, nel futuro che ci attende, i ricchi si assomiglieranno ovunque e sempre più nella loro sfacciata opulenza, mentre i poveri saranno livellati nel disprezzo, nell’abbandono e nella fame, a prescindere dal mondo a cui appartengono.
E’ per questo motivo che non siamo entusiasti dei programmi elettorali (eccetto rarità). Non solo perché sono vecchi e stantii, ma soprattutto perché ingiusti.

20/02/08

I poveri “scomparsi” e i consumi che affamano

Ai leader dei partiti
Alle candidate e candidati delle prossime elezioni politiche
Leggendo i documenti programmatici dei partiti e le relative proposte per le prossime elezioni, si nota che è scomparsa dal linguaggio corrente la parola "povero”: si parla di disoccupati, di incapienti, di persone fragili. Eppure ancora il nostro istituto statistico parla di “poveri”.
Le stime oscillano intorno ai due milioni e mezzo di famiglie per sette milioni e mezzo di persone.
Sarebbe interessante capire perché la parola “povero” fa paura: forse perché disdicevole, oppure offensiva o probabilmente per l'evoluzione del linguaggio che chiama “non vedenti” e “diversamente abili” i ciechi e i disabili. Ma la questione non è certamente di linguaggio, ma di sostanza.
Da nessun programma politico finora apparso è stato proposto un “piano contro la povertà”. E" vero che sono state pensate politiche che ridistribuiscano risorse contro la disoccupazione, il costo della casa, l’istruzione, il peso fiscale etc. Ma chi sta indietro, senza un’attenzione specifica, rimarrà indietro. Se le famiglie non riescono ad arrivare a fine mese, come ci arriveranno quelle che non hanno mai avuto il sufficiente?
Proprio le ipotesi pensate per ridare slancio alla crescita del paese fanno sorgere il corposo dubbio che, senza un diverso approccio alla crescita stessa, le disuguaglianze sociali rimarranno e si accentueranno.
Il “Corriere della Sera” di domenica 17 febbraio ha pubblicato i dati italiani dello spreco di 4.000 tonnellate di cibo al giorno, per un totale di sei milioni di tonnellate all’anno, capaci di sfamare 3 milioni di persone. Ai dati di questi sprechi se ne possono aggiungere molti altri: da quello farmaceutico, a quello relativo agli animali domestici; da quello energetico, a quello delle beauty farm; dai consumihigh tech a quelli inerenti il trasporto. In altre parole il meccanismo consumo-crescita-benessere, se non corretto, porta a più gravi povertà: l’induzione al consumo all’infinito, esigito dalla logica della crescita economica e mai messo in discussione, ha sapore di morte. Esaspera artificiosamente le necessità e la competizione, monetizzando ogni desiderio e rendendo precaria ogni condizione.
Altrimenti saranno solo le maggiori risorse personali e familiari a fare da discriminante tra benessere e malessere.
In fondo l’ecopass, introdotto recentemente a Milano, che aveva l’animo di ridurre traffico e inquinamento, si è tradotto in una selezione di ricchezza. I ricchi raggiungeranno piazza Duomo (magari in taxi), i poveri rimarranno in periferia, così come già avviene nelle grandi metropoli del mondo.
Esistono anche in Italia tentativi di consumi critici, di finanza etica, di alimenti biologici: sono nicchia e - sfortunatamente – riservata a privilegiati. Non solo: esigono scelte continue di sacrificio e di motivazione.
La realtà immediata ci dice che solo riequilibrando obiettivi generali di produzione e di consumo è possibile creare benessere più generalizzato.
Forse era questa “la novità”che ci attendevamo: l’intelligenza di pensare a tutti, per l’effettivo miglioramento della qualità della vita. Fino ad ora il consumo equilibrato, ben che vada, è stato giudicato come utopia di qualche marginale schizzinoso.
Non si tratta di ridurre produzione e consumi, ma di sostenere linee economiche che – senza comportare una specie di “perenne Quaresima” – vadano all'essenzialità delle cose, a svantaggio dei beni superflui.
Gli esempi sono molti: dalle acque potabili, alla godibilità del mare; dall'impiego diffuso di nuove tecnologie, a seri investimenti nei beni di largo consumo.
E' vero che non spetta al futuro governo gestire il “mercato”: ma di fronte alla pazzia voluttuaria, lo sviluppo intelligente può essere sostenuto.
Crescere i salari non basterà se i telefonini, le scarpe griffate,

15/01/08

Caro Padre, non vada alla Sapienza

Caro Padre, non vada all'università della Sapienza giovedì prossimo. Il primo motivo è perché non la vogliono. Vada altrove, come fece Gesù, quando lo respinsero.
Non se ne abbia a male. In fondo la Chiesa, da sempre ha subito opposizioni, anche molto cruente.
La sua visita poi sembra sia stata pensata non proprio per nobili sentimenti: rischia di diventare uno spot gratuito, comunque vada.
Inoltre non si lasci impressionare dai cosiddetti scienziati che hanno sottoscritto l"appello contro la sua visita. Tra loro c’è pure qualche trombone che, in nome della scienza, non ammetterà mai e poi mai di essersi sbagliato. Citano in continuazione Galileo e Giordano. Mai che citassero errori, vittime, atrocità pure perpetrate in nome della scienza. Si sono autoimmunizzati per le scoperte e per le sciocchezze.
Giovedì vada a trovare qualche povero cristo, ammalato o sofferente.  Non dia retta a chi le suggerisce di non cedere: cadrebbe nella trappola dei poteri. Non è un’umiliazione: è un guardare ai piccoli, perché di "loro” è il regno dei cieli.

don Vinicio, parroco di campagna

03/01/08

Clochard morti di freddo. Caro Benedetto XVI, sospendiamo l’Epifania

A Benedetto XVI
 Caro Padre, nella notte del 1° Gennaio, a Roma sono morte due persone per il freddo. Le agenzie di stampa hanno comunicato la notizia tra le previsioni del tempo, quasi a dire alle persone per bene: state attenti che il freddo è molto pungente.
Non sappiamo nemmeno i loro nomi. Il primo "sembra” di "origine polacca” dall'apparente età di 40-50 anni; il secondo, italiano, di 70 anni "molto conosciuto nella zona”. Avranno molto sofferto non solo per il freddo, ma per la solitudine della loro vita nell'abbandono e nella non speranza.
Morire di freddo in Italia e nella città di Roma è una fatto insopportabile. Quelle creature disperse appellano alla nostra coscienza cristiana, prima che civile.
Le centinaia di chiese di Roma, le Parrocchie, gli istituti religiosi, gli ospedali, le confraternite, le associazioni cattoliche non possono non aver posto contro il freddo.
Domenica prossima la Chiesa indica la celebrazione dell'epifania: uno splendore alla luce che viene e alla gloria di Dio. Con due “clochard morti di freddo” non possiamo celebrare tale liturgia perché non possiamo ripetere i versetti del salmo 71:
“Egli libererà il povero che grida
e il misero che non trova aiuto,
avrà pietà del debole e del povero
e salverà la vita dei suoi miseri”.
Non solo non abbiamo offerto al Salvatore i regali, non abbiamo nemmeno salvaguardato il bene unico della vita.
Disponga che in tutta Roma si sospenda la liturgia dell"Epifania e si celebri la liturgia funebre per le due creature morte di freddo.
Servirà a risvegliare le coscienze di tutti noi cristiani, diventati indifferenti e cinici. Potremo almeno chiedere perdono a Dio delle superficialità e degli sprechi. Nella celebrazione eucaristica non prevarranno, una volta tanto, i significati estetici ed emozionali, ma il senso del rispetto delle persone.
Forse riusciremo ad aprire “i luoghi sacri” alla prima sacralità che Dio ci chiede: voler bene a chiunque egli ha voluto bene.
Fraternamente

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